Regia di Simo Halinen vedi scheda film
La sincerità, innanzitutto. Maarit non ha alcuna paura a dire che un tempo è stata un uomo. Ne parla apertamente con tutti, persino quando il rischio di essere respinta è serio. Lo ammette durante i colloqui d’assunzione, lo dichiara anche alle persone appena conosciute. Quella verità è parte di lei, nasconderla significherebbe rinunciare ad una fondamentale conquista: un’identità costruita con dolore e fatica, sfidando coraggiosamente il giudizio del mondo. D’altronde mentire sarebbe incoerente con l’atteggiamento di coloro che la circondano, le cui parole rispecchiano sempre i loro pensieri, i loro sospetti, il loro disprezzo nei confronti di una diversità che considerano peccaminosa e contro natura. Questo film finlandese – il cui titolo si traduce letteralmente come Vi dirò tutto – presenta una realtà nella quale ogni anomalia o problema si affronta in maniera spesso sbagliata e preconcetta, però immancabilmente limpida, senza ipocrisia. Così tutto diventa facile da capire, dato che per comprenderlo basta serenamente accettarlo nella sua semplice evidenza, evitando di porsi troppi inutili e soggettivi perché. La discussione è la base dello scontro, ogni argomentazione è un nuovo contributo all’incomprensione, e dunque è meglio non sfoderare l’arma delle proprie ragioni, né mettersi ad indagare in quelle altrui. Probabilmente è questo l’assunto di fondo di un racconto a cui non importa di spiegare i retroscena, poiché la sostanza di una storia, quando questa è genuina, è composta interamente di ciò che i suoi protagonisti sono in quanto individui a sé stanti. L’interazione con i loro simili serve unicamente a rivelare, e non ad alterare, la loro natura interiore. La sceneggiatura di Simo Halinen adotta tale approccio, empirico ed imparziale, nella trattazione del sesso come fatto essenzialmente privato che non smette mai di proporsi come spinosa questione sociale. Restituire l’argomento alla sfera della libertà personale, ossia ad un territorio rispetto al quale ogni presa di posizione esterna si configura, per definizione, come un’illegittima invasione, equivale a spogliarlo di ogni morbosa conflittualità, per palesarlo nella sua multiforme inopinabilità. È un regno misterioso a cui tutti, abitualmente, si consegnano, seguendo la scia delle emozioni, e mettendo a tacere i richiami della coscienza. Non esistono progetti da realizzare, né schemi comportamentali a cui rifarsi. Le espressioni del sentimento e le manifestazioni dell’istinto costruiscono edifici privi di scheletro, che si impennano e si afflosciano secondo la momentanea direzione del vento. I personaggi ondeggiano in maniera apparentemente casuale ed imprevedibile in questo romanzo d’amore senza trama né principi, sprovvisto del conforto del ragionamento e della guida della morale. Si direbbe un’opera fatta di nulla, che non riflette e non giunge ad alcuna conclusione. La sua vicenda si snoda lungo uno degli infiniti percorsi che attraversano la giungla delle possibilità. Una caotica, ma pacifica, combinazione di episodiche deviazioni. Un’avventura senza commento. A cui si può rimproverare soltanto di non aver saputo rendere chiara la differenza tra la sobrietà di un osservatore imparziale e la superficialità di un narratore distratto.
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