Regia di Fritz Lang vedi scheda film
A un cowboy viene uccisa la fidanzata durante una rapina e lui si mette caparbiamente da solo sulle tracce degli assassini: non ne conosce le identità né i volti, ha come unico indizio il nome di un luogo chiamato “Mulino d’oro” (“Chuk-A-Luck” in originale); sul suo cammino incontra varie persone, i cui racconti forniscono la materia ad altrettanti flashback. Quando ci si sta già abbandonando al piacere di ritrovare i tanti luoghi comuni del western e si comincia ad apprezzare la capacità di Lang di adattarsi a un genere non suo, ci si rende conto che il film è molto meno impersonale di quanto sembrava all’inizio: inserito in una vicenda elementare e fra ambientazioni stilizzate (palesemente fondali di cartapesta) c’è ancora una volta un uomo che con tenacia e pazienza persegue la sua vendetta, arrivando a mescolarsi ai membri di una banda di fuorilegge; forse colui che sta cercando è in mezzo a loro, forse c’era ma poi è andato altrove, forse è proprio quello che sta diventando suo amico. Il nocciolo del film è dunque il tormento interiore di un personaggio costretto a mostrarsi diverso da ciò che è, a fingersi innamorato di una donna che disprezza, a sospettare di tutti quelli che gli stanno intorno, cacciatore e potenziale preda allo stesso tempo: siamo in un altro film di Lang, insomma.
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