Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Fa sempre piacere rivedere film come "Ran". Da qualcuno considerato il capolavoro del regista giapponese, quanto meno nel genere di cappa e spada, il film del 1985 (per 25 anni Kurosawa ha realizzato un film ogni lustro da "Barbarossa" del '65 a "Sogni" del '90) ne costituisce sicuramente una summa dal punto di vista figurativo. Se il punto di partenza e la falsariga sono dati dal dramma scespiriano "Re Lear", essi sono adattati e filtrati attraverso la sensibilità personalissima di Kurosawa, di un regista che meglio di tutti (anche meglio del grande Kitano) ha saputo coniugare la tradizione spettacolare giapponese con i canoni cinematografici occidentali. Fra l'altro Kurosawa inserisce nella trama varianti ed aggiunte che gli consentono di sviluppare a suo piacimento il suo discorso cinematografico. Una grande invenzione del regista, da questo punto di vista, è il ruolo di Kaede, la quale ricorda molto più Lady Macbeth che non qualche personaggio del "Re Lear" (in particolare, il suo corrispondente potrebbe essere uno dei figli di Gloucester), tremenda moglie di Taro, la cui sete di vendetta, covata per anni e anni, è uno dei motori della vicenda. Ma ciò che più conta, in queste quasi due ore e 40', è il quadro d'insieme di colori (che servono anche a distinguere i tre figli di Hidetora e tutte le armate in conflitto), di rumori, di suoni, di musiche che caratterizzano sia le parti più intimiste, ispirate probabilmente al teatro Nô, sia le parti in campo aperto e le scene di battaglia (stupendo lo scontro finale in cui le truppe di Jiro vengono falciate dal fuoco degli archibugieri appostati ai margini della boscaglia). E poi c'è quel finale con il giovane cieco che sosta a un passo dal baratro, a simboleggiare probabilmente ciò che al settantacinquenne Kurosawa doveva sembrare (in quel momento o sempre?) l'umanità, abbandonata da Dio, come dice il buffone, ma anche incapace di per sé di tenersi lontana dalla violenza che genera altra violenza e dalle assurde vendette che portano soltanto dolore. Dopo "Ran", uno dei pochi film che Kurosawa poté curare con tutta calma, senza problemi di soldi e di tempo, la vicenda biografica concesse al regista di vivere altri anni (è morto il 6 settembre 1998) e di realizzare ancora tre film ("Sogni", 1990, "Rapsodia in agosto", 1991 e "Madadayo", 1993), però "Ran" resta, a mio parere, il vero e proprio testamento cinematografico di Kurosawa. Da vedere assolutamente (voto: 9).
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