Regia di Peter MacDonald vedi scheda film
Tre anni dopo il successo al botteghino di Rambo II, Sylvester Stallone torna a battere il ferro e presenta una nuova sceneggiatura per dare seguito alla fortunata saga legata al reduce Rambo. L'impegno in fase di costruzione del soggetto non è dei più faticosi. Rispetto al secondo capitolo, cambia il contesto ma resta invariata la sostanza. Dal Vietnam si passa all'Afghanistan, con la costante dei sovietici che compiono soprusi e, puntualmente, vengono sterminati da un solo uomo. Non importa che siano decine, centinaia o migliaia: sono comunque spacciati e ce lo dice lo stesso Rambo (in quella che sembra quasi un'autoironia degli stessi autori). “Chi è, Dio?” commenta un ufficiale russo. “No, lui non ha pietà” risponde il colonnello Trautman. Rincara poi la dose Rambo stesso quando, per radio, comunica all'ufficiale sovietico: “Sono il tuo peggiore incubo!”
Questa l'antifona, col nostro soldato superman che mutua, pari pari, le imprese dei precedenti capitoli. Si toglie una pallottola nel ventre infilandosi un dito nella carne ferita facendo spuntare la pallottola dal lato opposto, quindi sutura il tutto infilando polvere da sparo nella tana che ha come ferita per innescarla con la lama del coltello incandescente così da far passare il fuoco da un lato all'altro del corpo (!?). Che dire poi della scena del frontale tra il carro armato pilotato da Rambo e l'elicottero russo? Ovvìamente Rambo ne esce illeso, mentre il sovietico (un modesto Marc de Jonge) esplode in mille pezzi.
Dejà vù a ripetizione, col solito soggetto della missione di salvataggio di prigionieri americani in mano al nemico (questa volta è lo stesso Trautman a finire nelle grinfie sovietiche). La sceneggiatura, firmata anche da Sheldon Lettich che porta dal copione di Senza Esclusione di Colpi la scena iniziale con Rambo che combatte armato di bastoni in un incontro clandestino, è più quadrata della precedente. Al di là delle tamarraggini (anche queste, pur se presenti, di intensità minore rispetto al secondo capitolo) e delle inverosimiglianze, il copione è piuttosto solido sul versante narrativo (bella la sequenza del lancio della pecora). Piace poco il falso spirito moralizzante che pervade l'opera, a partire dalla lode allo spirito indomito del popolo afgano (forse dopo l'undici settembre gli sceneggiatori avrebbero modificato la propria visione) per proseguire con l'idea ipocrita del super soldato zen (Rambo da il suo denaro ai monaci thailandesi, aiutandoli a costruire templi contemplativi) e quella di Trautman che critica la politica sovietica relativa alla guerra di aggressione per garantire la pace (qualche anno dopo, nella realtà, qualcun altro avrebbe fatto una cosa simile). Notevoli le scenografie (davvero belle) e l'apporto degli effetti speciali pirotecnici (esplosioni e fiammate a go go). Il regista della seconda unità del precedente capitolo, Peter MacDonald, assolve bene all'improvvisa promozione a regista, ricalcando lo stile di Pan Cosmatos (si veda la scena della preparazione delle frecce esplosive o il continuo indugiare sulle gocce di sudore sulla pelle di Rambo o sui dettagli dei suoi accessori) senza far rimpiangere l'abdicazione dell'australiano Russell Mulcahy (“Razorback” e “Highlander”) sostituito pochi giorni dopo l'inizio delle riprese.
Bravo l'iracheno Sasson Gabai (il migliore del lotto), nei panni di guida mujaheddin. Stallone corre in continuazione per tutto il film, a petto nudo e mettendo in mostra la muscolatura scolpita. Le sue espressioni indolenti, alternate alle grida e agli urli di battaglia, non fanno certo alzare in piedi i preparatori dell'actor's studio ma, al contempo, esaltano i giurati dei Razzie Award pronti a premiare Stallone per la terza volta come peggiore attore della stagione. Richard Crenna viene impiegato attivamente: sottoposto a torture e, alquanto inverosimilmente, a sparare come ai tempi in cui interpretava Mezzogiorno. Piccola, quanto inutile, parte per Kurtwood Smith, il cattivo di Robocop, qua ridotto a un cammeo insulso.
Nonostante tutto, siamo alle solite. Il film è un'americanata, ma sa intrattenere e divertire lo spettatore medio. Ben musicato, accattivante nella messa in scena e montato con furbizia, riesce a intercettare i gusti del pubblico popolare. Cinque nomination ai Razzie Award, eppure proventi finali pari al triplo degli investiti. Poco altro da dire: operazione riuscita. Non a caso dette il là a una serie di videogame (io avevo una versione Sega Master System che si giocava con impiego della pistola al posto del joystick) oltre a contribuire a rendere Rambo uno dei personaggi iconici degli anni '80. Checché se ne dica, è un cult movie.
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