Regia di Barry Levinson vedi scheda film
Rain man è un film a cui mi sento molto legato per motivi affettivi, perchè lo vidi per la prima volta a 12 anni e lo apprezzai moltissimo come esemplare di "cinema americano impegnato" (uno dei primi di cui ricordo la visione, e che mi spinse a guardare altri film di quel tipo). Rivisto dopo parecchi anni e a prescindere dai ricordi personali, mi sembra un'opera onesta nell'affrontare lo spinoso tema dell'autismo, di grande pregio nell'interpretazione sia di Dustin Hoffman che di Tom Cruise, ma non esente da certi difetti dovuti forse ad un'eccessiva spettacolarizzazione del soggetto. La trama è accattivante e l'incontro tra i due fratelli che non si erano mai conosciuti in precedenza offre lo spunto per mettere a confronto uno yuppie piuttosto cinico e interessato solo ai soldi e un disabile chiuso in una dimensione estremamente soggettiva di sofferenza personale. Il ritratto dei due protagonisti è disegnato in maniera accurata, soprattutto quello di Raymond per cui Hoffman si è ampiamente documentato e ha trascorso molto tempo in compagnia di veri autistici, dando un sapore di verità alla sua interpretazione che difficilmente potrà essere sminuito; altrettanto si può dire di Cruise, che in questo film inizia a mostrare, forse per la prima volta, la sua reale tempra di attore. La regia di Levinson riesce a dare un buon ritmo alla storia, ma non evita certi "pericoli" a cui accennavo in precedenza: si ha l'impressione sia di uno sviluppo un pò prevedibile, con una "conversione" finale dell'egocentrico yuppie che può risultare un pò troppo facile, così come certe parti del racconto non convincono (le scene ambientate a Las Vegas con Raymond che sbanca il botteghino delle vincite sono, francamente, troppo "da film" e poco in linea con la realtà più autentica dell'autismo, così come un pò forzate risultano certe notazioni umoristiche legate allo stesso personaggio). Comunque, pur non essendo un capolavoro e avendo ottenuto degli Oscar assegnati un pò troppo generosamente (tranne quello a Hoffman, certamente meritato), resta un onesto prodotto di intrattenimento che ha aperto la strada ad una trattazione del problema "autismo" al cinema, poichè in precedenza quasi nessuno si era avventurato in questi territori. Un'ultima osservazione su Valeria Golino: all'epoca come attrice era ancora un pò acerba, ma la sua interpretazione non mi sembra neppure quel disastro che molti critici hanno sostenuto; il problema è in una dizione non proprio "pulitissima" (e mi sembra che se la sia cavata meglio nella versione originale che non nel doppiaggio italiano), ma col passare degli anni l'attrice è sicuramente migliorata, come dimostrano le interpretazioni ne "Le acrobate" o "La guerra di Mario", fra gli altri. voto 7/10
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