Regia di Peter Landesman vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 2013 - VENEZIA 70
Si torna a parlare dell'attentato ai danni di JFK, di una delle paure e dei dolori più acuti sofferti dagli Stati Uniti: un episodio destabilizzante nella vita di tutti i giorni per il cittadino americano; un incubo che, alla vigilia del cinquantenario di quel tragico episodio, continua ad alimentari dubbi su complotti e trame oscure che negherebbero l'origine dell'omicidio alla semplice mano di un folle. Qui tuttavia, a differenza del "filmone" impeccabile ma un pò freddo e "matematico" di Oliver Stone, il regista Peter Landesman (bravo) si concentra, sin dal titolo, sull'episodio dell'attentato e sui tentativi di rianimare il corpo martoriato di un presidente che vive una passione non molto differente a quella di un Gesù Cristo moderno. Poi, come per celebrare un contrappasso che tuttavia non soddisfa le titubanze di chi non accetta una così facile spiegazione, il film procede anche ad illustrare nei dettagli l'opera di salvataggio che i medici curanti solo una manciata di giorni dopo si prodigano a praticare all'assassino Lee Harvey Oswald, anch'egli soccorso invano dopo che una vendetta giustizialista si è scatenata sul suo corpo. A quel punto anzi il film accosta le cerimonie dei due individui, quella che gettò nello sconforto e nel terrore un'intera nazione, una potenza economica e militare, e quella dell'uomo a cui più nessun altro suo simile vuole più dare sepoltura, tanto da costringere il fratello dell'assassino a prodigarsi con l'aiuto di pochi intimi alle più materiali operazioni di tumulazione.
Parkland, dal nome dell'ospedale di Dallas che diviene l'epicentro di un calvario duplice che poi in fondo ha lo stesso sapore amaro della sconfitta, è un film girato con un gran senso del ritmo ed una concitazione che erano proprio le qualità che difettavano nel film sontuoso di Stone. Landesman si sofferma sulle ansie del giovane medico preso alla sprovvista a porre rimedio ad una tragedia più grande di lui (è Zac Efron, finalmente maturato al suo secondo film "adulto" nel giro di poco tempo (l'altro è The paperboy), su quelle del responsabile della squadra di protezione presidenziale (il ruolo spetta invece all'ex giovane Superman Tom Welling che potrebbe dignitosamente riciclarsi e crescere definitivamente approdando al cinema) che lotta per vincere le mille burocrazie e poter riportare indietro quel che resta del "suo" presidente. Ma ha pure l'accortezza di accostare immagini di repertorio con quelle ricostruite per l'occasione, nelle quali la presenza della first lady diviene un ruolo forte ma deliberatamente in sottofondo, come per pudore e per accentuarne le doti di coraggio e dignità di una donna che poi in realtà non è mai riuscita, per vari motivi, a sottrarsi dallo scoop e dalle pagone della cronaca o anche semplicemente del gossip. Il cast ricchissimo comprende attori eccezionali come Marcia Gay Harden e la strepitosa Jackie Weaver (nei panni della folle madre di Lee Oswald), così come un ispirato e contenuto Paul Giamatti in una delle sue migliori ultime apparizioni. Peccato solo che una colonna sonora insistente e un po' tronfia, tutta trombe e pomposità, scalfisca gratuitamente e senza un senso compiuto un film che invece si presenta schietto e accorato, dinamico e concitato a sufficienza da seguirsi e consumarsi tutto d'un fiato.
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