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Venere in pelliccia

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Venere in pelliccia

di ed wood
8 stelle

La classe non è acqua. Difficile trovare, oggi, un altro autore come Polanski capace di conferire così tanta brillantezza, leggerezza e profondità ad uno spunto tematico così risaputo: la dialettica fra realtà e finzione artistica, col continuo ribaltamento vicendevole dell'una nell'altra. "Venere in pelliccia" è un impagabile mix di ironia, erotismo, sana cattiveria, psicodramma, gioco, senso della suspence e una feroce morale femminista. Le coordinate sono le medesime del precedente (e travolgente) "Carnage", straniante e grottesco kammerspiel, coi personaggi bunuel-ianamente bloccati dai/nei propri sensi di colpa. In realtà qui la situazione è meno complessa: se nel predecessore c'erano due coppie borghesi impegnate in un equilibrato gioco al massacrio, in "Venere in pelliccia" l'unica "coppia" consuma la propria farsa secondo uno schema servo-padrone ben chiaro fin dall'inizio. La civetteria, gli ammiccamenti, le sottolineature presenti in gran parte dei dialoghi, in mano ad altri registi, avrebbero reso il film monotono e intrappolato nella gabbia sterile dell'opera "a tesi", grondante insopportabile retorica da ogni inquadratura. Invece Polanski, a cui l'intelligenza registica e il sapiente dosaggio dei toni non ha mai fatto difetto, riesce miracolosamente a rendere fertile, espressivo, ambiguo, sfuggente ogni scambio di battute, ogni sguardo, ogni movimento, ogni atto (simulato) di questa sensuale pantomima sadomasochista. Il tutto senza però andare in confusione, perdere la bussola, arrancare nel caos di ruoli indefiniti, pasticciati: l'idea di Polanski è chiara, ed è che il sesso forte è la Donna. Il bello di questo film è che è tutto così evidente sin dalle prime battute: lei (una formosa e spiritosa Seigner) affascinante, loquace, dominante; lui (un misurato ed intenso Amalric) impaurito, riluttante, sottomesso; eppure non si ha quasi mai l'impressione di scontatezza, ma sempre una freschezza che si rinnova ad ogni schermaglia. Certo, qualche calo di ritmo c'è, qualche passaggio un po' appannato, un po' "tirato via". Non ha la potenza devastante di "Carnage", a mio parere un vero capolavoro, capace di toccare svariati temi-cardine della nostra civiltà. In qualche frangente, specie nella prima parte, c'è forse qualche ricamo di troppo e si corre il rischio di cadere nel pigro divertissment intellettuale. Così come forse può costituire una debolezza del film il fatto che Thomas ci venga presentato come un brav'uomo, venendo travolto dal ciclone Vanda sin dall'inizio, senza che lo spettatore possa rendersi conto delle sue idee sul genere femminile, sulla funzione dell'arte, sul suo rapporto con la piece da lui adattata, coi "suoi" personaggi etc...Polanski da dunque per scontato che Thomas sia il tipico intellettuale "cripto-maschilista", frustrato da una fidanzata ordinaria, intimamente propenso a considerare la donna come oggetto, ma impotente di fronte all'avvenenza di una femmina ingestibile, forse omosessuale latente etc...insomma, un maschio "ferreriano" fatto e finito. Questa debolezza di fondo tuttavia, oltre a non pregiudicare l'interesse per lo sviluppo della vicenda, non appiattisce comunque il personaggio di Thomas a mera metafora di un mondo al maschile oramai al capolinea, idealizzatore di una realtà che non esiste più; nè Vanda, esplicita materializzazione del personaggio "adattato" da Thomas, risulta per questo una macchietta, un pletorico sex symbol del potere femminile. E il merito spetta tanto al regista quanto ai due straordinari interpreti. Non c'è spazio per l'ideologia, per le frasi fatte in "Venere in pelliccia"; il discorso viene condotto nei binari di un continuo andirivieni fra dimensioni: la vita e il teatro, ma anche il teatro e il cinema (ossia, l'idea/simbolo e l'immagine/tempo), l'autore e il personaggio, la donna e l'uomo, il dominio e la sottomissione, la forza e la fragilità, la carne e l'intelletto, la burla e il pathos, la convenzione e la trasgressione. La condanna del povero, inetto Thomas, legato per sempre ad un cactus fallico, mentre la sua crudele Venere balla dionisiaca di fronte a lui, è qualcosa di più di una banale "rivincita della donna": è una metafora certamente, ma è anche la vitale rappresentazione di un processo di liberazione, di un ribaltamento di prospettive, di un inganno perpetrato come mezzo necessario a scardinare le certezze dell'universo maschile, della sua cultura fintamente illuminata, in realtà ipocrita e repressiva. E' la messa in immagini della frase che apre, ambiguamente, la piece e del cuo capovolgimento di senso: Polanski/Vanda rinfaccia a Thomas (e allo spettatore fallocentrico, uomo o donna che sia) un mondo/arte dove la Donna smette di essere Musa ispiratrice, oggetto di desideri realizzabili solo nella finzione teatrale/filmica, e si trasforma in soggetto artefice del proprio destino. "Venere in pelliccia" è quindi anche un film sulla liberazione dei personaggi dalla schiavitù delle idee imposta dall'autore: Vanda si impossessa subdolamente e progressivamente di quel Thomas che si riteneva, a cuor leggero, il suo creatore. E questa progressione, questo slittamento, questa proiezione catartica, solo nel cinema sono possibili: solo dove è l'immagine viva e libera, e non il vuoto simbolo/simulacro, a rappresentare un'idea.

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