Regia di Roman Polanski vedi scheda film
L’affermazione assai ricorrente che la realtà che si vive non sia tale e che la si possa trovare invece nella finzione o nel rifugio dell’arte può trovare una sua efficace applicazione nel cinema di Polanski e Venere in pelliccia ancora una volta lo conferma. In una delle messa in scena preferite dal regista, l’interno di un edificio adibito a piccolo teatro, come si trattasse della scatola cranica e della sua materia grigia contorta e dispersa nei suoi meandri più oscuri, un regista teatrale, Thomas, deve selezionare l’interprete della commedia tratta dal romanzo ottocentesco e ai tempi oggetto di scandalo Venere in pelliccia. Fuori tempo massimo e col solo regista presente in sala piomba in scena l’ultima aspirante protagonista, Vanda. Se per definizione il cinema è l’arte di guardare dal buco della serratura, Polanski che ha dedicato gran parte della sua attenzione a scrutare le innate contraddizioni umane attraverso una piccola fessura, sia un orifizio fisico o una crepa della mente, giunge sempre al suo approdo finale dal quale non è più possibile alcun ritorno. Lo sguardo del regista è implacabile e costruisce la scoperta del sé, della parte oscura del suo protagonista con un disegno cinico, folle, incontrollabile. In Venere in pelliccia ci sono tutti gli elementi costitutivi del dramma da camera, la composizione scenica teatrale, come unico scenario possibile di scontro, un soggetto messo in gioco dalla sua debolezza, ed uno che lo descrive minuziosamente. Polanski instaura o meglio (stavolta seguendo un testo preciso) registra lo scambio dei ruoli e i rapporti di forza determinati dal percorso del testo che muove i due personaggi. Se a una lettura immediata si coglie la subordinazione e l’assoggettamento dell’uomo che può così liberare il suo desiderio restando imbrigliato dalla sua doppia natura di carnefice e di vittima, proteso a godere fisicamente del dolore ma anche a giustificazione degli alti valori ideali che il suo egoismo auto celebra non potrebbe essere secondaria un'altra considerazione. Che il gioco di trasformazione e di seduzione di Wanda sia in realtà orchestrato dall’intimo desiderio dell’uomo, che la sentenza e la condanna che Wanda esprime inchiodando l’uomo alla sua debole natura, non siano un indice di potere sopra le parti ma strumenti indispensabili per chiudere quella circolarità in cui l’uomo può mescolare piacere e dolore libero da ogni vincolo morale e sentimentale. Quanto ne sarà consapevole e coinvolta la protagonista femminile? Non è dato a sapere, la donna di Polanski è un oggetto misterioso a prescindere, da Cristina sulla barca nel Coltello nell’acqua, passando alla Carol di Repulsion, da Paulina di La morte e la fanciulla alla dark lady di Luna di fiele, senza dimenticare Rosemary impegnata a concepire il nuovo demone. Resta solo lui, l’attore della commedia della propria vita, all’occorrenza impacciato, subdolo, egoista, misogino, vanitoso ed esibizionista. Però anche dannatamente solo, e sempre sconfitto.
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