Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Esistono delle persone così semplici e così povere di spirito, che magari hanno anche provato a leggere Derrida e Foucault (senza ovviamente capirci nulla), ma che non sono e non saranno mai in grado di apprezzare certe sofisticherie. Ecco: io sono tra queste persone. Il Polanski di Venere in pelliccia parte da un mix tra il testo teatrale di David Ives e quello letterario di Leopold von Sacher-Masoch (dal suo cognome l'usatissimo aggettivo "masochista"), per approdare a una vita di mezzo tra Luna di fiele e Carnage.
L'ambientazione teatrale non potrebbe essere più esplicita e l'intera azione si svolge in unità di luogo e di tempo: alle audizioni per reclutare l'attrice che dovrà interpretare il ruolo di Vanda si presenta, con enorme ritardo, una donna sboccata e apparentemente rozza (Seigner). Sulle prime il regista (Amalric) non vuole saperne, ma non fa a tempo a concederle una battuta che è costretto a ravvedersi: la donna che ha dinanzi è del tutto diversa da come appare. E così ne viene sedotto, fino a quando il gioco sadomasochistico di potere non si rovescia completamente.
A Polanski non si può riconoscere il merito di continuare a lanciare continue sfide, né quello di avere concepito un copione in cui il gioco di specchi tra testo recitato nella finzione della finzione e realtà si estende in un ribaltamento continuo. Sicché l'operazione manderà in solluchero gli amanti di raffinatezze cresciuti a pane e opere di von Kleist, gli estimatori del teatro di parola che si baloccano con apologhi prefreudiani, ma lascerà molto più perplesso chi in un film, pur girato arditamente con una sola macchina da presa, cerca anche un po' di pathos. Senza contare che la coppia Seigner-Amalric (ancora insieme dopo Lo scafandro e la farfalla) non è affatto all'altezza del compito.
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