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Venere in pelliccia

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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La recensione su Venere in pelliccia

di chinaski
8 stelle

Un uomo e una donna su un palco, a ripetere, un’ennesima volta, il gioco di potere tra sessi. La scusa: una audizione per la messinscena de La venere in pelliccia. I ruoli: un regista e un’attrice. Un luogo isolato, un teatro vuoto, fuori si scatena la tempesta, nel buio e caldo ventre materno della sala possiamo togliere le nostre maschere o indossarne di nuove. Continui passaggi tra ruoli e personalità reali, battute del testo e pensieri nascosti, Vanda e Thomas si studiano, si scoprono, finiscono per completarsi a vicenda, nell’esperienza sadomasochistica i confini tra le cose, la pelle, l’anima, i lividi e le carezze sono sempre molto sottili, la sublimazione del dolore attraverso il sacrificio, la fusione totale dell’istinto maschile e femminile in forme di controllo rituali, inginocchiato davanti agli stivali della Signora, un primo brivido di pure emozioni, la macchina da presa segue le traiettorie dell’attrazione magnetica, le labbra di Thomas sulla pelle dello stivale.

Polanski apre le porte di quelle stanze chiuse in cui si mettono in scena antiche cerimonie di seduzione e le dinamiche di un rapporto sadomaso diventano quelle di una qualsiasi relazione tra un uomo e una donna, sotto la maschera dell’amore pulsa un bisogno ancora più potente, quello dell’appartenenza e della schiavitù, il desiderio scottante dell’annullamento e dell’umiliazione, perché è solo toccando il fondo più oscuro della propria anima che alcuni riescono a scorgere la fonte di una luce purissima. E allora tra la carnefice e la sua vittima non c’è più nessuna differenza, Polanski, che già in Carnage aveva distrutto i rapporti familiari e di coppia, si scaglia contro l’ipocrisia del rapporto per eccellenza, quella tra uomo e donna, ancora prima che si uniscano, nel momento della seduzione e dell’avvicinamento, in quel momento in cui le distanze sono ancora tangibili e proprio attraverso di esse si misurano le proprie emozioni. Portando alle estreme conseguenze questo gioco, attraverso  travestimenti, scambi di identità, dominio e sottomissione, i due personaggi finiscono per spogliarsi del superfluo. Thomas legato ad un cactus gigante, Vanda se ne è andata. Si ripete l’eterna rappresentazione dell’amore e del dolore. Senza più maschere. Senza più la possibilità di fuggire da quello che siamo.

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