Regia di David Michôd vedi scheda film
CANNES 2014 – SELECTION OFFICIELLE – FUORI CONCORSO
David Michod è uno dei nomi di punta del variegato e vitale cinema australiano, molto a suo agio con l'horror o con le vicende apocalittiche (proprio in questo Cannes sono ancora vivide in me le immagini della catastrofe inevitabile da meteora impazzita, che lascia dodici ore di agonia in più all'emisfero australe nell'affascinante “These final hours”).
Dopo il lodatissimo (forse sin troppo, ad essere sinceri) noir familiare di Animal Kingdon, troviamo il regista finalmente alla sua prova d'appello con questo thriller teso e crudele, pure lui post-apocalittico, anche se in realtà poco o nulla ci viene detto di quanto possa essere successo nel mondo intero o in quelle sterminate lande desertiche australiane.
"Craignez l'homme qui n'a plus rien à perdere", avverte e consiglia saggiamente la locandina francese nelle sue ambivalenti versioni che rendono omaggio ad entrambi i divi coinvolti nel progetto.
Fatto sta che incontriamo il taciturno e monolitico Eric in viaggio solitario sulla sua auto nel mezzo del deserto australiano. Fermatosi per una sosta a bere in un anomalo bar avvolto da una assordante musica orientale e gestito da due strani tipi placidamente adagiati in relax su cuscini colorati, l'uomo si accorge troppo tardi di un incidente d'auto che avviene proprio fuori del bar, e che fa cappottare l'auto che trasporta tre malviventi feriti in seguito ad una rapina. Costoro si riprendono dallo shock dell'incidente e rubano l'auto al nostro Eric. Che inizierà una corsa senza sosta per raggiungerli, dapprima con la jeep dei malviventi, ancora funzionante, poi assieme ad un giovane bizzarro che si rivelerà il quarto membro della banda, lasciato per morto ma in realtà ferito al ventre, prezioso in quanto in grado di dare informazioni preziose ove trovare e raggiungere la banda.
Il motivo che spinge il nostro protagonista a dar la caccia così strenuamente alla propria autovettura va ben oltre il valore intrinseco della stessa: questa è l'unica certezza che appare chiara fin dall'inizio. Le ragioni vere di tale accanimento si chiariranno giusto alla fine del viaggio infermale e non è buona cosa rivelare null'altro di un film duro, spietato e teso che si fa apprezzare più per le atmosfere e per la lodevole interpretazione dei due celebri ed apprezzati protagonisti, che per la storia in sé, evasiva e un po' troppo furbescamente condotta fino ad un epilogo che ci lascia in bocca l'amarezza dell'irrisolto.
In un “far west” post catastrofe o post decadimento delle più ordinarie regole di vita imposte da una società civile, in cui ormai l'unica legge che conta è quella della sopraffazione dell'avversario e della sopravvivenza dell'individuo sugli altri, in cui ciò che non hai lo puoi trovare solo al mercato nero ad un prezzo che non puoi contrattare, notiamo un atteggiamento, una condotta inusuali e interessanti che contrastano con la violenza e la spietatezza ormai dilaganti: notiamo per dirla tutta, e senza voler essere oltremodo maliziosi, come un'atmosfera omoerotica che invade atteggiamenti ed inclinazioni dei “sopravvissuti: già inizialmente al bar il titolare se ne sta in relax sdraiato assieme ad un orientale seminudo; poi i due gestori del negozio che obbligano Eric a comprare qualcosa in cambio di informazioni: due vecchietti sempre seduti assieme come una coppia di fatto, più che due amici o conoscenti;
ancora, per continuare a descrivere questa sensazione, il vedere a due a due i disperati rapinatori che dormono assieme, quasi a farsi coraggio: uno dei tre, il fratello del giovane lasciato per morto, si trova a dormire assieme ad un povero miserabile dall'aria smarrita, l'unico che verrà risparmiato nel regolamento finale, sanguinoso come e più di quanto sia plausibile aspettarsi.
The rover è un film che affascina, spiazza, stupisce, e forse in parte delude anche un po' per non riuscire a spiegare o a farci capire tutto di quanto la sua trama innesta o accende nella mente: tutti stati d'animo che contribuiscono a rendere il secondo film di Michod un prodotto interessante e da vedere, sempre che ciò sia possibile un giorno anche qui da noi. Ottima intensa prova per l'inflessibile e pietrificato Guy Pierce, viso perennemente teso dall'orrore di chi ha perso tutto, attore maturo che trova un altro personaggio complesso con cui arricchire la sua già notevole ed interessante filmografia. L'ex vampiro e ora attore “cronemberghiano” Robert Pattinson dà invece vita ad un personaggio disturbato e ferito, fisicamente e moralmente, rispettivamente a causa di un proiettile nel ventre e dal tradimento del proprio fratello. La sua insicurezza trapela dallo sguardo alterato da lampi di follia che l'attore è in grado di esprimere con una efficace mimica facciale e con tic convulsi che fino ad ora parevano impossibili in capo ad un divo troppo attento a veder valorizzata la propria evidente ed esuberante esteriorità.
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