Regia di David Michôd vedi scheda film
Se si intende rappresentare il vuoto fisico, più efficace dell'assenza è l'orizzonte irraggiungibile di una terra desolata. Se il vuoto è esistenziale, più efficace degli occhi spenti di un volto senz'anima è il sopravvivere di un'umanità moribonda e deturpata. Il peregrinare nel deserto di queste vite dannate, lacerate dalla consapevolezza del dissolversi di ogni luce interiore, a me non sembra la solita distopia di un futuro post-apocalittico. Io credo invece rappresenti il probabile destino della nostra ‘civiltà’, autodistruttasi nella mercificazione criminale di ogni risorsa e di ogni valore morale. Questa sorta di morti viventi si aggira come in un film di Romero aggrappandosi ai brandelli di una umanità che ancora percepisce dolorosamente pulsante dentro di sè. Così qualunque violenza sembra proporzionata se utile per tenere in vita il ricordo di un io etico che non esiste più. Dare degna sepoltura al proprio cane giustifica ogni delitto nei confronti di corpi che sono ormai concepiti come cose, senza che alcuna empatia sia più possibile, se non in una forma istintiva e larvale che sopravvive come resistenza ultima al mito suicida della competitività. Questa umanità non ha alcun futuro e alcuna possibilità di redenzione.
Forse c’è qualche ridondanza di troppo, l’alienazione viene resa nei dialoghi più col nonsense che con la proibitiva ricerca delle giuste centellinate parole. Resta comunque un film dove qualcosa di importante riesce ad esser comunicato. Eccellenti le prove attoriali e Pattison è stato, in questo senso, una piacevole sorpresa.
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