Regia di François Truffaut vedi scheda film
Helen Keller, Kaspar Hauser e Victor, il ragazzo selvaggio di Aveyron: tre esseri umani, dotati di normali sensazioni e desideri, eppure considerati reietti, perché incapaci di comunicarli. Per loro, sottratti, per diversi motivi, al processo di crescita e formazione, gli stimoli si traducono in impulsi, ma non producono segni filtrati da significati: le emozioni non si specchiano nel pensiero astratto delle categorie generali, condiviso dalla comunità dei loro simili, ma parlano direttamente alle cose rispondenti alle loro esigenze, senza chiamarle per nome. Dove non esiste la parola, viene meno anche la possibilità di formulare e recepire regole, di stabilire distinzioni concettuali a priori tra il bene e il male, tra il lecito e l’illecito. Il dottor Itard, nelle lezioni impartite a Victor, cresciuto da solo nella foresta fino all’età di dodici anni, deve compiere l’immane sforzo di ridurre in pillole ciò che è comunemente ritenuta la base dell’umanità, ossia quei rudimenti intellettuali e comportamentali che elevano la nostra specie al di sopra della bestialità. Così il martello, simbolo della nostra capacità di progettare e costruire, viene scomposto nelle parti elementari che ne definiscono la presenza, la natura e la funzione nel nostro universo: il disegno stilizzato della sua forma, il suono del termine usato per indicarlo, la successione dei segni alfabetici che lo identificano sulla carta. Sono, questi, convenzioni linguistiche di genere diverso che, nella nostra mente educata, sembrano convergere spontaneamente ed in maniera univoca verso quel particolare oggetto: invece il ragazzo selvaggio non riesce, se non dopo un durissimo addestramento, a riconoscerne la correlazione. Il suo percorso prevede, come scopo essenziale, quello di apprendere l’esistenza di operazioni complesse, mediate da rappresentazioni, che si frappongono fra lui e il mondo dando una veste concreta e tangibile alle proprie idee. “Vedere” e “udire” il proprio pensiero e quello altrui, poterlo verificare e poterne trarre delle conseguenze, è l’esperienza fondante della socializzazione, la premessa alla convivenza e alla condivisione, che limita e disciplina la libertà dell’individuo. La nostalgia di Victor per la solitudine della foresta, che all’inizio sembra inibire gli sforzi del suo maestro, finisce, alla fine per conciliarsi con la gioia di sentirsi accolto, compreso e forse amato per quel poco che, di sé, egli ha finalmente imparato a donare. François Truffaut confeziona questo documentario di vita vissuta e di scienza fuori dagli schemi con la lineare nitidezza di un libro illustrato, in cui il testo è fatto di brani concisi ed efficaci, affiancati dalle immagini che esemplificano, col rigore della semplicità, i singoli, piccoli passi compiuti da un essere nuovo alla scoperta di tutto ciò che per noi è banale e scontato, ma, per lui, si rivela via via sempre più emozionante, miracoloso e prezioso.
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Un film che dovrebbe essere proiettato nelle scuole medie.
Se mi capita lo farò vedere ai miei figli che vanno sempre a scuola e che amano gli animali..penso che lo troveranno interessante.
Sono d'accordo. Si tratta di un film di formazione dal contenuto spiccatamente didattico, presentato però con grande naturalezza e semplicità, come si addice alla narrativa per ragazzi. Grazie del commento, e un caro saluto da OGM.
Capolavoro sostanzialmente misconosciuto di Truffaut (caso strano per un autore così studiato e amato). Curiosità: ai tempi della sua uscita ebbe un entusiastico illustre sostenitore: Hitchcock (e consorte).
Caro Inside man, grazie del commento e dell'informazione. Credo che l'invisibilità sia il destino comune alla maggior parte dei film - anche di autori noti ed amati - il cui contenuto sconfina nella saggistica. La "storia vera", se non è presentata in una versione opportunamente "romanzata", non riscontra successo presso il grande pubblico: o forse questa è solo una convinzione degli addetti alla distribuzione cinematografica ed alla programmazione televisiva. Un caro saluto da OGM.
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