Regia di Hélène Cattet, Bruno Forzani vedi scheda film
Un uomo arriva all’aeroporto di notte al rientro da un viaggio di lavoro. Telefona alla moglie per avvertirla del suo arriva ma risponde la segreteria telefonica. Basta questo a far capire che nel film succederà di tutto. Arriva in taxi a casa. E’ un palazzo architettonicamente particolare, un liberty estremo che mi ha fatto venire in mente Gaudi o alcuni edifici di Coppedè. E’ un ingresso sontuoso con una larga scala con un tappeto rosso. La ripresa indugia con ampi scorci sul monumentale vestibolo. Già si intuisce che il palazzo e la casa occupa un posto fondamentale nel film e, in effetti, sembra quasi essere un organismo biologico o meglio un luogo di inquietanti rumori e altrettanto inquietanti abitanti che raramente si vedono ma di cui si intuisce la presenza. Alla porta non risponde nessuno. L’uomo apre con la chiave ma all’interno c’è la catena e allora lui forza la porta ed entra. Nessuna traccia della moglie. L’appartamento è in ordine, le sue cose sono nell’armadio e non sembra essere partita né potrebbe averlo fatto visto che la porta era chiusa dell’interno. Mistero. A questo punto potrebbe iniziale un bel giallo del tipo delitto in una camera chiusa ma il problema è che non c’è il cadavere. Ma il film prende immediatamente un’altra strada o meglio entra in un tunnel claustrofobico ed ossessivo fatto di immagini che si ripetono in continuazione e che si inseriscono improvvisamente come se fosse una visione. Si vede sempre una donna nuda in riprese molto ravvicinate e le mani di un assassino/a con guanti neri che fa scorrere un coltello sui capezzolo della donna e poi, in altre scene, la colpisce con una coltellata profonda tra le gambe aperte. Le immagini sono molto frammentate e ripetute per cui è difficile coglierne il senso e ricordarle per possibili variazioni. Sicuramente da qualche parte c’è una donna che viene seviziata da quelle mani in guanti neri e poi brutalmente uccisa. La casa sembra animata e, addirittura, un’anziana coppia che abita da qualche nel palazzo mentre fa l’amore in modo funerario, cioè senza alcuna emozione, lui che è un medico sente strani rumori e con un trapano (che ovviamente tutti abbiamo nel comodino di casa) fa un buco piccolo nel tetto che è un controsoffitto dipinto e spia per capire i rumori che sente. La moglie non trova più il marito finito anche lui oltre l’intercapedine (ma come sarà passato attraverso quel piccolissimo buco!) e gli passa dei fiammiferi per consentirgli di esplorare la zona. A questo punto l’unica cosa da fare e smettere di guardare il film cercando delle risposte secondo uno schema razionale ed affidarsi alle immagini e ai suoni. Credo che sia solo questa la chiave per vedere il film, non chiedersi il perché e il percome e lasciarsi prendere dalle immagini ossessive e violente. Si noteranno così richiami ad altri film e per tutti a Repulsion di Polansky con le indimenticabili scene del corridoio le cui pareti cercano di afferrare la bella e giovane protagonista. Ma in quel film questo effetto così straniante è funzionale alla malattia mentale della ragazza. In questo film -invece- mi sembra tutto un esercizio di stile volto a impressionare e ipnotizzare lo spettatore e tutto finirà in un’incredibile macelleria.
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