Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Un prologo che introduce l’evento chiave (un ciclista viene investito da un’auto) + tre capitoli che raccontano la storia da altrettanti punti di vista + un epilogo che tira le fila. La prima incursione di Virzì nel genere drammatico non mi lascia dubbi: è meglio che continui a dedicarsi alla commedia agrodolce, che sa fare come nessun altro in Italia. Comincia bene, impostando un tema caldo come la finanza selvaggia e introducendo un bel campionario di individui patetici (sia i veri ricchi sia i borghesucci rampanti), ma si ammoscia alla distanza: la trama gialla viene persa di vista, per poi trovare una soluzione quanto mai improbabile (non è verosimile che una ragazza lasci la porta della camera aperta e il computer acceso con un messaggio compromettente visibile a chiunque entri) e riapparire pretestuosamente caricata di significati nelle didascalie finali (che sono veramente didascaliche). Inoltre certi personaggi sono tanto esemplari da ridursi a macchiette: lo si vede in particolare nella scena del primo consiglio di amministrazione del teatro, con un intellettuale frustrato, una giornalista arrabbiata, un leghista con fazzoletto verde e Va’ pensiero in suoneria, un vecchio trombone che ha conosciuto Pirandello. Cosa voleva dimostrare Virzì, che la giustizia colpisce solo i poveracci? Grazie, ma lo sapevamo già.
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