Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Direi che l'ultimo film di Virzì, pur con diversi difetti, tutto sommato è un lavoro riuscito. Al bando le definizioni di nuova commedia all'italiana e le incongrue attribuzioni di eredità dei vari Monicelli, Risi e Scola, siamo di fronte a un cinema medio che, quanto meno, prova a dirci qualcosa sull'Italia di oggi. Non che siano cose che non conosciamo dalle cronache giornalistiche o dai programmi televisivi, ma il regista e i suoi sceneggiatori le applicano alle vite della gente più o meno comune, colpita come tutti dalla crisi e come molti succube del denaro e dei suoi possessori.
Personaggi squallidi popolano questo angolo di Lombardia, dove nessuno è in realtà completamente malvagio né del tutto esente da pecche. Lo stesso Giovanni Bernaschi (un bravo Gifuni, anche se si nota fin troppo lo sforzo di parlare in brianzolo), dopo essersi comportato da spietato affarista mangiasoldi, rifiuta di pagare la testimonianza che scagionerebbe il figlio dall'accusa di omicidio colposo, omissione di soccorso, guida in stato d'ebbrezza eccetera.
Qualche forzatura nella trama si nota e del resto siamo in un romanzo (il film stesso è tratto da un romanzo americano), nel quale in sei mesi capitano un sacco di eventi. Eventi che sconvolgono le vite di queste persone, accomunate dal fatto di vivere in quel lembo di terra definito Brianza, che sembra un aggiornamento ipertecnologico e cialtronesco del Maradagál descritto da Gadda nella Cognizione del dolore: e infatti pur sempre di persone in carne, ossa e sangue si parla, anche se le compagnie assicurative le classificano alla voce "capitale umano".
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