Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
La storia ruota attorno ad un incidente d'auto di cui rimane vittima un povero ciclista di ritorno dal suo turno di lavoro come cameriere in una cena di gala studentesca e nel quale sono coinvolti, a vario titolo, i personaggi della vicenda narrata: l'agente immobiliare Dino Ossola, separato dalla moglie e con la nuova compagna incinta, decide incautamente di investire in un rischioso fondo azionario di un finazire rampante il cui figlio ne frequenta la figlia e la cui moglie, attrice da tempo lontana dalle scene e annoiata dalla vita da mantenuta, si è messa in testa di restaurare un teatro con i soldi del marito. Il ciclista alla fine muore e tutti i nodi sembrano venire al pettine ma...
Ispirato all'omonimo romanzo dello scrittore americano Stephen Amidon e sceneggiato dal regista insieme alla fidata coppia Bruni&Piccolo, Virzì concepisce una struttura del racconto secondo una singolare organizzazione delle regole aristoteliche di unità di tempo e di luogo, facendo ruotare vicende e personaggi attorno ad un banale quanto tragicamente esemplare fatto di cronaca nera e frammentandone così i punti di vista, ciascuno dalla prospettiva di uno dei tre interpreti principali, per poi ricomporne una sintesi nel precipitare degli eventi di un epilogo in cui emergono meschinità e avventatezza, coraggio e debolezze, frustrazioni e (finte) rivalse: l'arte di un compromesso al ribasso dove a perdere sono sempre i deboli ed i furbi la fanno comunque franca. Attraverso un gusto del paradosso che rimanda alla esibita teatralità della narrazione, Virzì sembra riscrivere i canoni di una (tragi)commedia all'italiana che rappresenta uno spaccato impietoso e squallido di una società nostrana dove i modelli di riferimento sembrano essere le false sirene di una imprenditoria finanziaria corsara e arrembante, capace di corrompere e incantare, con le mendaci promesse del guadagno facile, le grette ambizioni di una classe media arrancante e meschina ma anche di frustrare le ambizioni di una velleità artistica ridotta alla bulimica routine dello shopping compulsivo (nell'ordine: la manicure,lo shiatzu, le scarpe, le tende, l'antiquariato, il restauro ed il rilancio di un vecchio teatro destinato alla demolizione). Pur nel didascalismo inevitabile di un cinema dimostrativo in cui i personaggi finiscono per assolvere a semplici funzioni di ruolo (il finanziere cinico e paludato, la mantenuta apatica in preda al mecenatismo bulimico dell'ultim'ora, il rampollo viziato e privo di spina dorsale, il borghesuccio arrivista e sprovveduto,la ragazza consapevole e fricchettona, l'intellettuale progressista e navigato), Virzì ricompatta la deriva morale e materiale di un'Italia allo sbando e facile al compromesso, attorno ai vizi capitali (al vizio del capitale) che sembrano affliggerla e dove persino il concetto di unità familiare sembra frammentarsi e scindersi nei modelli succedanei di una fragile e occasionale convivenza/convenienza. Le premesse insomma ci sono tutte e sebbene la struttura del racconto ed il registro di feroce ironia sembrano reggere il gioco per gran parte del film, il finale pare precipitare nell'inconprensibile sintesi della semplice didascalia che precede i titoli di coda, oscillando tra il buonismo sentimentale di una tragedia solo sfiorata e l'amara constatazione della sconfitta sociale di una tragedia purtroppo realizzata. Attori tutti in parte con gli alti di una sempre credibile Valeria Bruni Tedeschi e i bassi dell'istrionismo un pò gigione di Fabrizio Bentivoglio. Valanga di candidature ai Natri d'Argento 2014.
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