Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
"Human capital" è un libro di buon successo, uscito nel 2004 dalla penna di Stephen Amidon. Le recensioni al lavoro in questione sono discrete: spiccano due commenti positivi del "The Guardian" (ma guardian caso!) e negli USA del "The Washington Post". Non ho trovato molto altro, francamente. Ripassando la biografia dell'autore, mi si conferma un curriculum di studi alla Wake Forest University del North Carolina (non prestigiosissima, diciamo), pubblicazioni varie, più che altro collaborazioni con giornali. Leggo degli stralci del libro qua e là: non sufficienti certo per un'analisi completa: a prima vista, mi pare, modesto. Una sorta di thriller psicologico. In verità, a pensarci bene, queste note iniziali sono scarsamente rilevanti. Si sa che, da romanzi non superbi, sono spesso veniti fuori ottimi film mentre assai più difficile è sostenere il "confronto" inevitabile quando si tratta di capolavori letterari. Resta comunque il fatto che entro in sala maldisposta: trovo il soggetto pericolosamente poco interessante. Troppo ribadito e ri-analizzato, fondamentalmente poco capito: diciamo "superato" ancor prima di essere affrontato, dalla evoluzione precipitosa della nostra cronaca quotidiana globalizzata. Superato soprattutto per l'arte: che sempre deve essere, nella sua natura, un passo avanti. Perchè è proprio dell'artista vedere oltre la siepe dove per noi c'è ancora il buio. Se ritorna al presente, addirittura al passato (e spesso lo fa) è comunque per mostrarci, raccontarci, una propria personale ipotesi di futuro. Comunque, le luci si abbassano, e comincia la proiezione. Le prime immagini introducono subito quello che sarà l'accadimento focale, temporalmente finale. Evidente che, oltre ad una narrazione più o meno a ritroso, si è optato per una scomposizione in "episodi": un effetto retrò didattico ed assertivo, che francamente non amo. Essendo il primo "spezzone" intitolato "Dino" è ulteriormente ribadita la linea registica: gli eventi si svilupperanno secondo i vari punti di vista dei protagonisti. Mahhh, sono perplessa. "Andiamo avanti" - mi dico. E così è, confermando l'impianto sopra descritto. Se "Il capitale umano" è un film "corale" allora, con l'aggettivo in questione, si indica un racconto in immagini in cui i personaggi non valgono, né sono indagati e scoperti, in quanto tali, ma solo per la posizione che possiedono a priori o riescono ad acquisire in un quadro d'insieme già dipinto. Come in un coro, un basso è un basso. Un soprano un soprano. L'esito finale non è nel singolo (il suo modulare le note e renderle uniche e straordinarie) bensì nella dinamica complessiva. Così è, per Virzì e quindi sì, il suo è un film "corale": non c'è interesse per l'individuo e la sua intimità. Egli invece muove marionette determinate, nei propri pensieri ed emozioni, socialmente. Perchè, un contralto è un contralto, ed un baritono un baritono: come un direttore maldestro, non scava nell'interpretazione, non eleva l'eccellenza. Semplicemente, si accontenta di un consono risultato, che qui è ovviamente la "dimostrazione della tesi". Per altro, neppure consona. Mi sembra di essere ripiombata indietro di secoli. Il ricco è competitivo, insensibile, ignorante (più che altro, disinteressato alla cultura), vanesio ed egoista: Gifuni senza dubbio il migliore del cast, quantomeno toglie del suo invece che aggiungere. Il borghesuccio è gretto, approfittatore in perenne scalata, inopportuno, volgare, giocondo nella sua stupidità: Fabrizio Bentivoglio caratterizza fisicamente e linguisticamente "alla Maroni" un Sig. Ossola improbabile e troppo, troppo sopra le righe. La moglie miliardaria è naturalmente depressa ed inspiegabilmente sottomessa: veramente divertente vedere Valeria Bruni Tedeschi interpretare, potenzialmente, sé stessa. Con corollario di recitazione ansimante-urlante. La psicologa della Asl: istruita, gradevole, paziente ed intuitiva come solo una dipendente pubblica a stipendio bloccato può essere in questo film (Golino ingiudicabile). Terminano il quadro i tre adolescenti "alla Moccia": Massimiliano, giovane senza qualità, figlio inascoltato e sotto pressione dedito all'alcol; la graziosissima Serena che sceglierà l'amore a fronte della ricchezza (ahhhh, è una barzelletta?) e Luca, diciottenne problematico. Due ore scivolano, purtroppo senza che si capisca la differenza fra inizio e fine: l'assunto è già la conclusione. Perchè dedicarsi quindi alla analisi ed allo sviluppo - di una personalità, di una condizione o di una "realtà sociale" - quando la verità già è risaputa? Che ricchezza fa rima con schifezza, che settentrione fa rima con coglione, e via di seguito. Meglio dedicarsi, quali detentori della verità, all'additamento moralistico su pubblica piazza della "decadenza dei costumi", o della "perdita dei valori" etc, etc, etc. "Il capitale umano" non mi ha irritato, anzi, per certi versi mi ha divertito: si vorrebbe essere corrosivi ma poi non si ha il coraggio della cattiveria. Della sincerità schietta. Gli esempi sono vari: la improbabile e retorica scelta di Serena (Luca invece di Massimiliano: tremenda la consolatoria scena finale in carcere); oppure: i capelli di Carla, miliardaria con bisogno estremo del parrucchiere (e anche di chirurgo plastico direi), e la sua arrabbiatura dopo aver lasciato l'amante, quasi a sottintendere un barlume di senso di colpa (verso chi?) ad avere orientato tale scelta (i sensi di colpa presupporrebbero valori etici: quando mai?); o ancora, la positiva psicologa Roberta che fa un figlio con l'impresentabile Ossola ("chi s'assomiglia si piglia", ma allora perchè tentare di "salvare" proprio lei?) e altro ancora. A Escobar che su l'Espresso conclude la propria recensione con: "È finita (forse) la messinscena di una élite finanziaria che non riesce più a nascondere d'essere criminale. È finita la corsa verso il suo stesso modello di vita da parte dei vari Dino Ossola. E insieme è finita (per ora) la possibilità di raccontare l'una e l'altra con gli stilemi della commedia, appunto. Difficile non concordare" io risponderei che purtroppo non è finito proprio niente. E' tutto, solo all'inizio: della subordinazione della Politica alla finanza (che quindi non può essere criminale, perchè dovrebbe essere la politica a definirla tale. Ma la politica non c'è! O è criminale essa pure, nella misura in cui snatura se stessa per essere finanza!). Il mondo va a rotoli, distrutto dalla politica economica folle di una Europa (= Germania) devastata da partiti con nomi poetici (dell'alba dorata, della libertà) che si "ispirano" ad un passato mai sopito. A braccetto (ma fanno finta di bisticciare) con una America dal faccino simpatico di Obama: bomba ad orologeria finanziaria che abbassa i propri livelli di disoccupazione (miracolo!!!! Tutti a gridare) stampando moneta a raffica, mentre la Cina si trova nelle mani buoni di un debito abnorme. Immenso. Ma di cui ci si scorda quando i mercati crollano ad hoc in seguito agli innesimi tagli dei "rating" nazionali, mentre con le commodities (che sono cibo, e acqua, e riscaldamento!) si gioca a Monopoli guadagnando miliardi. In attesa che mille Lehman Brothers creino il macello. Forse non sarà la disfatta, come da fronti diversi ci si aspetta (Krugman, come Rickards e Roubini, per non parlare di Rifkin. Ovviamente tutti economisti, in un mondo governato dall'economia, da una economia, quella finanziaria). O meglio, sarà la disfatta di molto per l'ulteriore ennesimo arricchimento di pochi (non parla forse di futura "Golden Age" proprio lo stesso Rickards?). Come è sempre stato, e sempre sarà se l'interesse o l'inerzia di chi è al potere è di mantenere lo status quo solo tamponando i buchi qua e là. Come è sempre stato, e sempre sarà, se la contrapposizione è populista e violenta (verbalmente, e anche oltre), distruggiva ma non propositiva, soprattutto di soluzioni reali, realistiche e globalmente condivisibili. "Il capitale umano" è solo un film. Avrebbe potuto essere intimista ed introspettivo: scavare nelle anime. Ma non lo fa. Resta sopra, sulla superficie, e dei personaggi mostra il lato "sociale" (pure dello sfortunato camieriere/vittima, ai margini della strada, ed ai margini dell'opera. Oggetto e non soggetto). Quindi, non può sottrarsi alla definizione di politico (non è forse la "politica" lo spazio pubblicamente definito in cui "tutti" i soggetti facenti parte di una società rientrano?). E dunque, come film "politico" disamina, spiega, analizza, approfondisce? No. Ancora resta alla superficie. Peggio alla superficie provinciale (non per identità geografica ma per tematiche trattate): nell'affondamento del Titanic del mondo (del nostro mondo, un altro forse ci sarà. Poi) si preoccupa delle condizioni di una barchetta a remi che pare non reggere l'oceano. Sceneggiatura brutta, su tutto dialoghi banali ed un eccesso esplicativo. Regia irritante: emblematica la slow motion sul finale (al ritrovamento di Luca in casa). Fotografia inappropriata: troppo lucida e cangiante. Recitazione molto contestabile: Bentivoglio esagera perchè fuori parte; Golino sotto-utilizzata; Gifuni arranca ma si salva; i "giovani" a livello reality-talent show; Lo Cascio come Bentivoglio, spaesato. Preferisco non andare oltre relativamente all'exploit di Valeria Bruni Tedeschi. Da qualsiasi lato lo si guardi: da destra, da sinistra, dall'alto o dal basso, da dentro o da fuori, un brutto film. Peggio, un film inutile.
Note: ho visto il film qualche tempo fa e decisi di non recensirlo "a caldo". Passate un po' di settimane, mi rendo conto di essere, al contrario di quanto da me affermato, arrabbiata. E mi scuso per l'irruenza, le semplificazioni estreme sulla politica e sull'economia (spero di aver "reso l'idea" anche se non è facile, non per me, condensare in pochissime righe pensieri complessi), l'eccesso di cattiveria (il film è piaciuto a molti, può essere che io sia ad essere nel torto). Ma più rimugino, più la mia posizione a riguardo de "Il capitale umano" non può che essere questa. Una stella
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