Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Accostatomi a questo lavoro di Virzì più per curiosità che per vero interesse, ne sono rimasto piacevolmente sorpreso. Avevo un po' abbandonato il cinema del regista livornese, che è andato, con gli anni, un po' spegnendosi, girando a vuoto, ripetendosi in una commedia un po' stracciona e un po' furba, un cinema corale che stava perdendo l'anima, appiattendosi verso la televisione. Quest'ultimo film è un cambio di registro importante. Virzì imbastisce un racconto solidissimo, non gigioneggia su nulla, non esagera rischiando la banalità e il demagogico e anche aiutato da delle ottime interpretazioni, tutti bravi, dipinge uno spaccato credibile della realtà che mi circonda, essendo io del profondo nord. Suddivide il tutto in quattro atti, li incastra pregevolmente e ha qualche cedimento solo nella seconda parte e nel finale, che non mi ha del tutto convinto: l'avrei fatto più cattivo. In questo paesino brianzolo, i personaggi sono svuotati, i corpi sono tenuti insieme da un'impalcatura di soldi, mentre attorno a loro tutto crolla, con la metafora del Teatro Politeama, maceria dell'Italia, che accoglie moribondo l'atto finale. Virzì lascia solo una piccola luce di speranza, su cui non sono d'accordo. Poteva essere un'opera più radicale, ma non sta nelle corde del livornese, che comunque ha sempre un occhio rivolto al pubblico e al portafogli: un po' un peccato. A parer mio, l'opera più matura e riuscita di Virzì, senza inutili balletti, canzoncine e vernacolieri. Da vedere.
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