Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Paolo Virzì con IL CAPITALE UMANO vola alto, dà una svolta alla sua collaudata carriera di regista di commedie con la c maiuscola per raccontare il nostro paese in chiave drammatica. Resettiamo in fretta i Guadagnino e i Muccino che hanno provato a dire qualcosa sulla borghesia medio-alta usando la tecnica per nascondere copioni paludosi e superficiali. O per quel che riguarda le commedie, non la si può sempre buttare in vacca come in genere fanno vecchi e nuovi nomi.
Da un romanzo americano il regista e sceneggiatori di fiducia prendono spunto e costruiscono, sul filo sottile del thriller o del mistery quale pretesto, il movente per narrare come Dio comanda il profondo Nord e di riflesso l’Italia degli ultimi sciagurati anni. Suddiviso in capitoli (umani) in cui vengono presentati e descritti i protagonisti (nucleo pulsante e sale del cinema Virziano) di questa tragedia all’italiana. I riferimenti cinefili (struttura narrativa e montaggio) sono in primis LA TERRAZZA di Scola e in seconda battuta altri autori centro e nordamericani, mediante l’uso di diversi punti di vista sulla vicenda. DINO ovvero un cialtrone, un bauscia volgare e meschino tutto chiacchiere e zero danè. Fabrizio Bentivoglio in un ruolo alla Abatantuono (ché non è più in grado di sostenere) non lo rende mai una macchietta e aggiunge un altro mirabile tassello alla sua personale galleria di caratteri interpretati. CARLA ovvero una Veronica Lario in sedicesimi annoiata e piena di soldi da spendere. Attrice mancata o meglio fallita, riversa il suo amore per l’arte con il tentativo di restaurare il fu glorioso teatro Politeama per mezzo del facoltoso coniuge. L’incontro con il futuro c.d.a. - costituito da vecchie cariatidi, una nuova classe politica ignorante, una critica stroncatutto che scrive sulla Gazzetta Cisalpina e il professor Russomanno, direttore artistico designato - è un ritratto perfido di certi ambienti (sotto)culturali. Sublime l’amplesso sullo sfondo di Carmelo Bene in “Nostra Signora dei Turchi” con il professorino che si rivela un po’ opportunista e romanziere ispirato da lei ma non ricambiato. Lui è un perfetto Luigi Lo Cascio. Carla è una dilettante che non riesce ad essere né moglie né madre. Un’incompiuta. Valeria Bruni Tedeschi è incredibilmente brava (potenza di Virzì), con la sua voce flebile e di vetro dona un senso di fragilità e di inadeguatezza al suo personaggio. GIOVA è il raider della finanza Bernaschi, uno che vede tutti dall’alto in basso, uno squalo che risolve tutto e che in paesi come il nostro trionferà e verrà sempre assolto. Fabrizio Gifuni ne è la gelida maschera. ROBERTA è la compagna di Dino in attesa di due gemelli, fa la psicologa in una struttura pubblica: figura sottostimata ma decisiva nel finale. Valeria Golino sobria e umile. SERENA (ex) fidanzata del figlio dei Bernaschi, è l’unica che cerca un po’ di normalità, è la maturità femminile contrapposta all’infantilismo maschile travestito da boria, sbandate e violenza. Bravi i giovanissimi esordienti Serena Gioli (Serena) e Guglielmo Pinelli (Massimiliano). In ruoli minori si segnalano attori di teatro parcheggiati dal cinema: il Giampi di Gigio Alberti, lo scoppiato e ferino zio di Luca di Paolo Pierobon e un essenziale Bebo Storti, ispettore di Polizia nordico. Il maggiore pregio della pellicola di Virzì sta nel suo sguardo distante e penetrante, per nulla compiaciuto e compiacente con i personaggi, tranne nell’inquadratura finale (ma ci sta) prima che alcune didascalie ci spieghino il significato assicurativo del titolo. Un mezzo capolavoro.
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