Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
L'unico vero capitale umano, in fondo, è quello che sparisce ad inizio film.
Per il resto assistiamo ad una girandola di eccessi e caricature più adatte ad un capitale animale (nel senso grezzo dell'accezione).
Ho apprezzato le tinte thriller che muovono le fila dell'intera pellicola, la struttura ad incastri e flashbackes, i capitoli dedicati e la tecnica dei molteplici punti di vista.
Non certo una novità ma per la quale necessitano mano e mestiere, e sensibilità, come nella scena volutamente e disperatamente muta di Serena che irrompe a casa di Luca nel finale.
Non ho affatto apprezzato, invece, il massiccio calco di mano su personaggi tutti già fastidiosamente fastidiosi, a cominciare da quella parodia d'omino di Bentivoglio e la sua perenne gomma americana da ciancicare a bocca aperta e la dolente Bruni Tedeschi, che vedo calzante nella parte di moglie accessoria del cinico maghetto della finanza creativa brianzolo (un Gifuni funzionale), ma stolidamente straripante nei suoi eccessi convulsi (mentre urla alla rotatoria o piange al parcheggio), nei suoi filini di voce (alla riunione con quel circo barnum di personaggini ridicoli - davvero pensate sia in mano a questi alieni il nostro teatro? -) o nelle sue snervate velleità di donna ancora desiderabile (con un Lo Cascio al minimo sindacale).
È come se Virzì, per la prima volta alle prese con una torta (dolce per antonomasia), pensasse bene: ”ma si, mo' ce lo metto 'stò mezzo chilo di zucchero...”, rendendo vaganti anche tutti gli altri sull'onda dello stereotipo sottolineato a pennarello (scarsa fiducia nella capacità di discernere dello spettatore? Paura di non delineare a sufficienza?)
Stranamente immune da questo allegro evidenziare rimane la Golino (alla quale sono notoriamente refrattario), moglie di Bentivoglio, che per l'occasione veste i panni del basso profilo rimanendose serenamente ai margini, da buona psicologa che non comprende una mazza di tutto il baialmme che gli si agita attorno.
I ragazzi sono di una pochezza devastante, e anche di una volubilità che destabilizza. Serena (bella prova questa di Matilde Gioli) rimane incastrata, e non si sa bene per quali dinamiche se non quelle utili al plot, prima dal ragazzotto “bene” tutto macchine e capelli, col quale ci sfugge il genere di afflato condiviso, poi da un presunto disturbato che la conquista con un disegnino.
Potrebbe non sembrare, ma il thriller sullo sfondo, teoricamente propedeutico all'analisi di rapporti umani, condiziona parecchie scelte rendendo, di fatto, meno plausibile (e plasmabile) il presunto “capitale umano” a disposizione.
La quantificazione in termini assicurativi attribuiti ad una vita persa, sui titoli di coda, fa riferimento alle aspettative ed anche alle prospettive di vita economica, di un singolo individuo. E da questo ulteriore “punto di vista” (in omaggio alla scelta registica) vincere la scommessa sulla fine di questo mondo è solo la coerente linea di comportamento di chi lo faceva anche prima e continuerà a farlo dopo.
Troppa carne al fuoco? O forse solo troppo zucchero nella torta?
Intanto prendiamo atto della scelta coraggiosa di Virzì in un panorama cinematografico dove tutti restano aggrappati al proprio orticello.
E lo aspettiamo per una conferma meno didascalica.
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