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Il capitale umano

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Il capitale umano

di GIANNISV66
10 stelle

Uno spettro si aggira per l'Italia (ma anche per l'Europa e non solo): è lo spettro di coloro che non fanno conti per arrivare alla fine del mese, se ne fregano della crisi, non solo, ma la vedono pure come un'occasione di guadagno.
Speculatori avidi, privi di scrupoli, pifferai magici pronti ad ammaliare con sogni di facili guadagni i poveri fessi che li stanno ad ascoltare. Qui non si parla di classe dirigente o altro, questi non sono imprenditori, non aprono fabbriche, non investono in aziende, non creano prodotti e soprattutto non creano posti di lavoro.
Personaggi di rara desolazione morale e con l'etica di una pantegana, che nuotano, anzi sguazzano nel fango prodotto da un mondo finanziario ormai malato (e il primo sintomo di questa malattia è la crisi che ci ha messo in ginocchio in questi anni).
Chi scrive non è un esperto di speculazioni finanziarie (e mi perdonerete se me ne vanto pure) ma l'idea che esista un mercato dei titoli che consente di scommettere, e di conseguenza ottenere un guadagno, sui fallimenti altrui mi ripugna come neanche la peggiore delle ideologie. Quando si arriva a una tale mancanza di regole etiche allora significa che si è andati oltre un punto di non ritorno dal quale non uscirà indenne nessuno, alla fine neppure quei furbi che pensano di poter (s)fottere gli altri in eterno.  

Con Il Capitale Umano, Paolo Virzì abbandona le consuete, sicure e persino un pò stanche (penso al deludente La Prima Cosa Bella) strade della commedia e dell'affresco in chiave umoristica dei vizi italici, per addentrarsi in un territorio difficile come quello del dramma sociale.
Una strada simile il regista livornese aveva già provato a percorrerla con Tutta La Vita Davanti in cui Massimo Ghini e Sabrina Ferilli davano vita a due personaggi tipici di un certo stile di vita basato sull'apparenza e sulla mancanza di rispetto per la dignità altrui.
Nonostante la drammaticità della vicenda i due protagonisti non erano esenti da alcuni tratti caricaturali, cosa che in qualche maniera riusciva a conferire ancora un sapore di commedia al tutto, non risultando quella pellicola dirompente rispetto al contesto ambientale solito cui ci aveva abituato Virzì.
Questa volta no! Stavolta si fa sul serio, niente concessioni alla caricatura, solo maschere tragiche di una tragica italietta che sognando un benessere visto sempre come dietro l'angolo, si avvia verso il baratro da cui non si risolleverà.
Ed il nuovo percorso premia il regista livornese, perché questo è un gran bel film, bello per il tema che tratta e il modo in cui lo tratta, reso bello da un gruppo di intepreti la cui qualità non era certo da scoprire in questa pellicola ma che nell'occasione danno davvero il meglio per tratteggiare i protagonisti. Bello per il coraggio dimostrato, rischiando di beccarsi accuse di qualunquismo: "troppo facile prendersela con i finanzieri sarà mica tutta colpa loro"; ma una finanza che non investe su chi produce cose concrete e di conseguenza genera posti di lavoro creando di riflesso un pò di benessere per tutti, ma crea bolle di speculazione gonfiate ad arte per garantire illusioni di ricchezza, come detto in premessa, è profondamente, interamente aliena a ogni etica umana e a ogni giustificazione morale.

E così Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni fanno a gara di bravura per intepretare i rispettivi personaggi, il primo un borghesuccio di piccola fortuna, basata su una attività di immobiliarista, dai tratti del volto lombardamente maroniani, il secondo un finanziere della schiatta descritta nelle righe iniziali.
Dino-Bentivoglio con la scusa di una storiella tra la propria figlia Serena ed il rampollo del finanziere, cerca di introdursi nella vita di Bernaschi-Gifuni, diventarne amico e avere accesso a una quota del tanto decantato fondo di investimento che promette rendimenti "del trenta, quaranta percento e anche più".
Verrebbe voglia, parafrasando il titolo del film di Sorrentino di cui in questi giorni si parla molto, di proporre come sottotitolo a questa storia "La Grande Tristezza": se Bernaschi è un personaggio profondamente triste per quanto detto sopra, Dino non è da meno, un arrampicatore sociale che vede nella figlia esclusivamente un veicolo per dare concretezza ai propri sogni di facile arricchimento (ed è fortemente simbolica la scena in cui l'agenzia immobiliare, vanto e "ricchezza" della famiglia, viene letteralmente rosicchiata dall'avanzata di un negozio cinese a causa dei debiti contratti per acquisire quote del famigerato fondo) e di approdo al livello sociale dei ricchi con piscina e campo da tennis nel parco. Intorno ai due ruotano gli altri membri delle rispettive famiglie: Carla (l'ottima Valeria Bruni Tedeschi) è la moglie-ombra del rampante Bernaschi, una figura fragile e delicata, immersa in un mondo di vacue illusioni, lontana anni luce dalla drammaticità sociale che affligge ormai la grande maggioranza delle madri di famiglia italiane.
Assecondata come una bambina da un autista che la scarrozza senza meta da un acquisto inutile all'altro, riverita da finti amici che le si prostrano davanti in nome del suo status sociale, è un personaggio positivo nelle intenzioni(vuol salvare un teatro di provincia dalla chiusura, dimostra di avere quanto meno un'anima, quella che il marito si è venduto al demone del profitto) ma troppo debole per avere il coraggio di prendere atto della nullità morale del mondo che la circonda.
Cercherà sollievo e redenzione nella cultura e nell'infatuazione per un docente di drammaturgia (intepretato da Luigi Lo Cascio, eccellente anche in un ruolo secondario) ma sarà tutto vano: sembra quasi la personificazione della famosa frase: "con la cultura non si mangia" (coniata non a caso dall'inventore della finanza creativa).
Dall'altro lato c'è Roberta (Valeria Golino, in un ruolo più defilato) moglie di Dino e psicologa in una "struttura pubblica", una persona impegnata nella cura di casi di devastazione sociale e quindi totalmente estranea a un mondo come quello così tanto ammirato dal consorte. Più forte si staglia la figura di Serena (Matilde Gioli dalla bellezza di un 'acerba Eva Green), risoluta nel prendere le distanze da un ragazzotto vuoto e fragile (in questo simile alla madre) come Massimiliano, figlio di Bernaschi, (Guglielmo Pinelli) per affrontare un amore complicato con Luca (Giovanni Anzaldo), ragazzo problematico in cura dalla matrigna Roberta.

La trama, intrigante e intricata come quella di un thriller, vede le vicende dei vari personaggi sovrapporsi sul filo di collegamento di un tragico incidente stradale in cui tutti sembrano essere in qualche misura coinvolti, sullo sfondo di una immaginaria cittadina brianzola (ma la vicenda non ha latitudini, e davvero risibili paiono le polemiche sorte in seguito alla scelta della location lombarda, semplicemente si è voluto creare un maggior contrasto ambientando una storia basata su una ricchezza virtuale e quindi falsa in un contesto socio-economico che invece negli anni scorsi si è distinto per aver saputo produrre ricchezza reale).
E tutto è comunque solo un prestesto per mostrare senza pietà la pochezza morale che sta attraversando questi tempi nostrani.

Quattro stelle e mezzo che diventano cinque per il coraggio dimostrato.

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