Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Ci troviamo davanti ad un eccellente lavoro, frutto anche di una ottima sceneggiatura scritta da Virzì assieme a Francesco Bruni e Francesco Piccolo. Dialoghi sempre brillanti, ironici e con la giusta dose di “cattiveria” che rende la pellicola un omaggio sarcastico alla nostra società. Film decisamente di caratura internazionale.
“Rapina a mano armata (The killing)” di Stanley Kubrick spiazzò tutti con il suo schema di narrazione davvero innovativo che oggi, opportunamente adattato, ritroviamo nel film di Paolo Virzì. Kubrick prendeva uno alla volta i suoi personaggi e, mostrandoci le loro azioni, li portava fino al fulcro della vicenda, la tappa finale; tutti i percorsi conducevano ad un traguardo: la rapina alle casse delle scommesse sulle corse dei cavalli. Da lì in poi la storia si unificava verso il suo epilogo che ricordiamo imprevisto e drammatico. Quasi parallelamente, la narrazione del film di Virzì si dipana con tre capitoli intitolati come i tre personaggi che ci conducono fino al quarto ed ultimo capitolo dove la storia va a concludersi. Come una candid camera, la macchina da presa segue i tre personaggi e ci mostra la loro vita e le loro reazioni ai fatti che accadano nei sei mesi che precedono il tragico evento che darà uno scossone determinante alla vita loro e di tutti coloro che li circondano e che quindi darà la svolta alle loro esistenze. L’unica differenza di schema tra i due film è che se dal Maestro americano l’evento principale veniva raccontato alla fine, cioè dal punto di convergenza delle storie dei vari personaggi (la rapina appunto) e quindi in ordine cronologico, qui il regista italiano ci mostra subito l’episodio clou (l’incidente stradale dove perde la vita un cameriere) come un prologo, per poi dipanare le tre storie di Dino, Carla e Serena, appunto i tre capitoli che condurranno lo spettatore come tre lunghi flashback fino all’epilogo della vicenda.
L’ambientazione, tanto discussa e polemizzata inutilmente e ingiustamente da alcuni politici e alcuni giornali, è la provincia lombarda ma avrebbe potuto essere qualsiasi altra provincia italiana. Certo, non proprio una qualsiasi in senso assoluto, dal momento che la storia riguarda vicende di alta borghesia ricca e vicina agli affari finanziari e industriali, e sappiamo che ci sono zone del territorio italiano dove sarebbe stato impensabile e improprio allocare questi avvenimenti. Una provincia lombarda parecchio lontana dalla mentalità e dalle ambientazioni solite del regista toscano, che fino ad oggi ha girato solo storie più familiari e territoriali; tant’è vero che ha dichiarato di sentirsi come Ang Lee quando è andato a girare il bello “Tempesta di ghiaccio” nel lontano (per lui) Connecticut, proprio il luogo tra l’altro dove si svolge il romanzo originario da cui è stato liberamente tratto la trama.
Il film è una impietosa inquadratura delle agiate famiglie della ricca borghesia italiana e anche dell’italiano medio che, in questi tempi di guerra tra nuovi poveri e malandati sopravvissuti della crisi, cerca di realizzare l’affare della vita, il colpo finanziario che gli dia la possibilità di sistemarsi per sempre, preferibilmente con facilità. Comunque questa gente spera sempre di fare soldi facili: lo è stato nei momenti di illusorio benessere degli anni di espansione industriale e finanziario dei decenni scorsi, lo è ancora oggi in piena crisi, in cui il conflitto generazionale è forte e genera nuovo odio tra i ceti. E come vediamo nella realtà, anche in questa storia il prezzo più alto lo pagano i giovani e i più poveri: quelli che dalla storia raccontata dal film ne usciranno con le ossa rotte sono difatti i due giovani, Serena e Luca, che però hanno il coraggio e l’incoscienza di sorridere nell’ultima scena, segno di speranza e di ottimismo per il loro futuro. Attenzione: non è tutto qui. La storia non è solo un racconto drammatico e una sarcastica fotografia della borghesia ricca italiana, perché la vicenda si tinge di giallo, ha una vena da thriller per il fatto che la sequenza iniziale dell’incidente mortale non mostra il colpevole, chi guida il SUV che investe il malcapitato cameriere. Sarà appunto il capitolo dedicato a Serena che svelerà l’arcano, quando il bravo Bebo Storti, nei panni del commissario di Polizia incaricato delle indagini, sta seguendo una pista sbagliata.
Se si considera che tutti gli interpreti sono bravissimi ci si rende conto quindi che ci troviamo davanti ad un eccellente lavoro, frutto anche di una ottima sceneggiatura scritta dal regista assieme al solito fidato Francesco Bruni e dello scrittore Francesco Piccolo. Dialoghi sempre brillanti, ma ironici e con la giusta dose di “cattiveria” che rende quindi tutta la pellicola un omaggio sarcastico alla nostra società attuale. Difficile scegliere i migliori tra gli attori, perché sono stati tutti all’altezza delle attese: Fabrizio Bentivoglio, il Dino Ossola del primo capitolo, è il solito sornione e camaleontico attore che non sbaglia mai un personaggio; poi con il baffetto e il pizzetto e quegli occhiali colorati che ricordano quasi quasi il presidente della regione in cui si svolgono i fatti... Valeria Bruni Tedeschi è straordinaria nella parte di Carla (secondo capitolo) moglie dello squalo della finanza Giovanni Bernaschi (un bravo Fabrizio Gifuni), persona senza scrupoli (ma si possono fare profitti notevoli e improvvisi nella finanza se si hanno scrupoli?) intorno al quale ronza il quasi fallito Dino Ossola, praticamente ex-agente immobiliare, in cerca dell’affare-occasione della sua vita. E quando la sua agenzia immobiliare si restringe sempre più per le crescenti difficoltà del mercato, è troppo significativa ed eloquente la scena in cui alcuni cinesi, con tanto di scala e furgone, cambiano le insegne delle sue vetrine per attaccarne delle altre con scritte orientali.
Il capitolo dedicato a Serena è il più importante, sia perché è quello che conduce alla soluzione del filone thriller sia perché spiega meglio i rapporti tra le due famiglie, quella del goffo e sordido Dino Ossola e quella del broker Giovanni Bernaschi. Ma io aggiungo che questa parte del film ci mostra la nascita, o meglio l'esplosione di un'attrice che non può rimanere sotto silenzio. Matilde Gioli, che la interpreta, è una esordiente di grande talento e sono sicuro che la vedremo, se sarà ben utilizzata, salire le scale del successo: è veramente brava, tanta grinta e ottima presenza.
Menzione a parte per la brava Valeria Golino, dolce e affettuosa compagna di Dino e per il professorino intellettuale interpretato dal sempre preciso Luigi Lo Cascio.
Paolo Virzì, dopo aver girato la sua miglior commedia (Tutti i santi giorni), è passato sul versante del drammatico girando sicuramente il suo miglior film. E non solo: secondo me è un film di assoluto valore internazionale, ottimamente scritto, girato e interpretato, con una storia non più intimista, familiare, provinciale, dato anche il soggetto derivante da un romanzo americano. La sua maturità di regista ora potrebbe lanciarlo in un mercato di più ampio respiro.
Il capitale umano? Il significato del termine arriva nel finale, quando la didascalia prima dei titoli di coda spiega che il sistema assicurativo calcola i danni da rimborsare agli eredi di una persona che muore in un incidente stradale: l’età, il lavoro svolto, la potenzialità dei guadagni persi e altri coefficienti tecnici. Il capitale umano, appunto. Sembra una definizione sarcastica e paradossale, in linea con lo spirito di questo bellissimo film.
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