Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
a me piace il faccione sorridente di paolo virzì e mi era un pò dispiaciuto che il suo "tutti i santi giorni" mi avesse parzialmente deluso. con il suo "tutta la vita davanti" mi aveva convinto che una nuova commedia all'italiana fosse possibile. che essere autori facendo ridere, sorridere o storcere la bocca in un ghigno amaro dopo i nostri mostri sacri dei bei tempi che furono, fosse ancora possibile. con il capitale umano, virzì ci trasporta in un nord italia principescamente ricco che scommette e vince sulla disfatta di un paese e di un mondo, facendosi sopra una quantità indefinibile di soldi, forse solo pari alla quantità indefinibile di miseria e povertà che hanno creato coi loro giuochi finanziari. il film è diviso in quattro capitoli, ognuno con un titolo e un punto di vista che non è proprio il punto di vista del soggetto in esame, bensì un punto di vista antropologico dell'autore su come quel/la persona/ggio affronta la situazione. quando carla, uno dei capitoli e uno dei punti di vista, dice rivolta al marito squalo della finanza abbarbicato nel suo castello sulla collina: "avete scommesso sulla disfatta del paese e avete vinto", si dimentica di inserirsi in quel mosaico e il marito prontamente gli ricorda che lei è un tassello di quel mosaico, magari passivo ma non per questo meno colpevole. tutto il film gira attorno ad uno dei tanti incidenti in cui un autista investe un ciclista, lo uccide e fugge senza soccorrerlo. è un fatto così "normale" nei nostri tg che per tutto il tempo del film scorre nelle immagini alle spalle dei characters senza che nessuno si interessi. cominciano a preoccuparsi solo quando i carabinieri cominciano a far quadrare la scena del delitto. molto nei pressi di un caposaldo del nostro cinema "in nome del popolo italiano", anche il pubblico viene chiamato in causa quando convinti della colpevolezza del solito figlio di papà, già pensiamo urlando che quel pezzo di merda coi soldi la farà franca. la freddezza di quel clima in cui la nebbia fa si che il gelo ti si attacchi alle giunture e alle ossa, intaccandoti, rende meccanico il modo in cui i characters di questa play macchinano per saltarne fuori senza troppi danni (d'immagine). i chabroliani vizi di provincia escono fuori in tutta la loro squallida virulenza con il rifiuto. gli amici che rifiutano gli amici(la cohen con la bruni-tedeschi)e i padri che rifiutano i figli(gifuni con pinelli). ma non è solo nel mondo dei ricchi che il rifiuto assume un valore monstre. tutta la disperazione di serena nei confronti di quel reietto di luca in quel congegno ad orologeria che è il suo segmento, esplode in un disgustoso finale di macchiettistico e farsesco sorriso della bella per il maudit. nessuno si salva dal momento che nessuno paga veramente un debito (morale) nei confronti di quel ciclista ucciso in una fredda notte d'inizio inverno. un lavoro di regia e di sceneggiatura da parte dei ghignanti virzì, bruni e piccolo che si divertono a demolire a suon di linee di sceneggiatura svariate classi sociali che della lotta per la sopravvivenza fanno una ragione d'essere d'un gioco di ruolo. gli attori si adattano e con una naturalezza spiazzante mettono in campo le loro carte migliori facendo a gara di bravura. dal buffone tipicamente virzìniano fabrizio bentivoglio, allo squalo della finanza fabrizio gifuni che del gioco in sottrazione quasi a mimica facciale zero fa spavento a pensare di come personaggi come lui ne esistano e abbiano operato per ridurci a dove siamo adesso(tra l'altro regalando un inaspettato quanto gradevole nudo fronte-retro a distanza di anni dal suo nudo teatrale di "na specie di cadavere lunghissimo"). dalla mirabile carla attrice mancata-fallita di una sempre più brava, bella e necessaria valeria bruni-tedeschi al piccolo professorino sinistrorso donato russomanno di luigi lo cascio di una bassezza così squallida o disgustosa quando si accorge che la sua relazione non ha portato a nulla. insomma un inizio d'anno col botto.
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