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Il capitale umano

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il capitale umano

di alan smithee
8 stelle

Qual e' il prezzo di una vita umana? Il valore di una vita qualunque, di un lavoratore come tanti, altamente surrogabile, specie in questa epoca di crisi, caratterizzata da molta domanda di lavoro e poca offerta di impiego? A che prezzo un manipolo di scellerati finanzieri hanno svenduto un intero paese, la sua economia, il suo futuro? Con quali assurde ed ingenue prospettive una corte di fessi imprenditorucci cultori del mattone, si son fatti beffare dalla prospettiva di rendimenti con percentuali a due cifre, speculando con strumenti finanziari ed opzioni completamente al di fuori del loro mondo e della loro esperienza diretta? Questi e ben altri inquietanti e ben più personali ed intimi interrogativi vengono a galla nell'ultimo, ottimo lavoro di Paolo Virzì. Un regista che tende generalmente a non ripetersi, tra un'opera e l'altra, ma che qui ci stupisce con una scrittura ad incastro organizzata come a mosaico che, lungo quattro capitoli (Dino, Carla, Serena e, appunto, Il capitale umano), destruttura prima e poi abilmente ricompone, una moderna, complessa e attualissima vicenda frutto dell' incontro tra due classi sociali troppo diverse e dagli interessi troppo divergenti per non farsi del male: la ricca, scaltra nobiltà dedita alla finanza (e a rischiare soprattutto con i soldi di altri incauti sognatori o scommettitori) e la borghesia arraffona e superficiale, sempre troppo prematuramente desiderosa di compiere il gran passo, quello decisamente più lungo della propria incerta gamba. A pagarne le spese tutti coloro che vivono accanto ai due protagonisti, impegnati per caso a far nascere di una nuova amicizia, che esplode spontanea e per un caso (opportunamente calcolato) in un improvvisato ma vincente doppio tennistico, per avventurarsi nei meandri di un investimento senza ritorno, almeno per chi come il borghese si è indebitato ipotecando tutti i propri immobili pur di concludere l'affare. In mezzo ai due uomini, almeno tre donne, che soffrono perché non sanno, non vogliono sapere, non capiscono o non vogliono capire; oppure vogliono, come la giovane Serena, aiutare il debole, colui che dalla vita riceve solo schiaffi e fregature. In un'Italia brutta, dove i teatri chiudono per lasciar spazio a speculazioni edilizie sempre piu azzardate, o che se vengono restaurati da qualche apparente mecenate, tutto succede per un preciso calcolo di convenienza fiscale - la vita di provincia procede ogni giorno grazie ad avvilenti compromessi da cui nessuno ne uscirà davvero vincitore: a meno che non si sia così scaltri e cinici da scommettere tutto quel che rimane sul tavolo sulla sconfitta, sulla catastrofe, per ritrovarsi di nuovo vincitori e più potenti di prima, ai danni di tutti gli altri. Virzi smembra le storie che completano la sua opera e le ricompone con una precisione e lucidità che ricordano lo stile affascinante dello sceneggiatore Arriaga alle prese con i film più riusciti di Inarritu. Un cast eterogeneo di ottimo livello nobilita un film amaro che non lascia molte speranze od ottimismi a confortarci. Fabrizio Gifuni (lo spietato Bernaschi) Valeria Bruni Tedeschi (sua moglie Carla, fragile, insicura, anacronistica ex attrice svendutasi con rimorso ad una vita di agi ma pure di umiliazioni)  e la debuttante Matilde Gioli (e' Serena, figlia dell'immobiliarista Dino ed ex fidanzata del Bernaschi junior, convinta che la sorte di uno sventurato oppresso dal destino avverso, meriti la menzogna e l'occultamento della realta') sono i personaggi più forti, azzeccati e spiazzanti o vitali di un intreccio affascinante che mescola cinismo ad ingenuità,  desiderio di giustizia, insoddisfazione ed indefinitezza che spiegano molto, se non tutto, delle reali motivazioni del baratro in cui siamo caduti e da cui pare impossibile uscire illesi.

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