Regia di Woody Allen vedi scheda film
Liberamente ispirato alla storia alla storia di una mia parente, arriva puntuale come l'esazione delle tasse il 43esimo film di Woody Allen. Più melò che commedia, Blue Jasmine ci propone un mix tra Hannah e le sue sorelle (le dinamiche familiari) e Match point (l'arrivismo), concentrandosi sulla figura di arrampicatrice sociale della protagonista Cate Blanchett (ennesima gemma interpretativa dopo quelle di Babel, The aviator, Veronica Guerin e Diario di uno scandalo) che, con occhi incerottati, orecchie incotonate e le pastiglie di Prozac sempre a portata di mano, per anni se la spassa al fianco di Hal (Baldwin), pescecane della finanza che conduce una vita da nababbo a danno dei contribuenti. Quando il gioco finisce e i rubinetti del lusso si chiudono, la poverina è costretta a lasciare la sua faraonica magione di Manhattan per chiedere asilo alla sorella, vittima essa stessa dei raggiri dell'ex cognato, nella sua stamberga di San Francisco. Costretta a quella attività degradante, disumana e a lei sconosciuta che si chiama lavoro (ed è qui che le coincidenze con la mia parente tornano a farsi addirittura filologiche), Jasmine adesca un altro riccone (Sarsgaard). Ma il destino giungerà spietato a presentarle il conto.
Ormai a secco di battute, Allen si gioca le carte migliori da consumato Maestro della settima arte con un racconto snello, un montaggio alternato che trascura qualsiasi accorgimento negli inserti in flashback, affidandosi a un cast ben assortito e piuttosto affiatato. Ma siamo ormai da tempo a una regia col pilota automatico, che non va oltre l'estetica della carineria.
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