Regia di Woody Allen vedi scheda film
"C'è un limite ai traumi che una persona può sopportare prima di mettersi ad urlare in mezzo alla strada."
Jasmine, traduzione inglese di gelsomino, è un piccolo fiore di colore bianco. Blue è la parola iniziale del titolo di una famosa canzone jazz scritta da Richard Rodgers e Lorenz Hart nel 1934.
Blue Jasmine, invece, è il quarantaquattresimo lungometraggio scritto e diretto da Woody Allen che, dopo una serie di prove un po' meno convincenti, torna al cinema con un film capace di stupirci e di farci riflettere.
Reduce dal poco originale To Rome With Love e, in generale, da una serie di pellicole non troppo interessanti o geniali, il cineasta americano ha deciso di tornare negli Stati Uniti per raccontarci una storia angosciante e particolarmente amara, tornando, in parte, al suo vecchio stile.
Molto brevemente la trama del film: Jasmine è una donna ricca ed elegante che, dopo il tracollo finanziario del marito, si trova costretta a rinunciare alla sua vita tutta gioielli e borse di Vuitton, per trasferirsi a San Francisco dalla sorella Ginger.
Assai lontana da quel tipo di vita così povera e popolare, è alla disperata ricerca di stabilità: ha bisogno di un lavoro che la gratifichi, di conoscere un uomo a cui stare vicino, ma, soprattutto, ha bisogno di stabilità psicologica.
Ma Jasmine è un personaggio inetto, incapace di rialzarsi e di guardare oltre le apparenze e, per questo, sarà costretta a scivolare sempre più in basso, fino al completo disfacimento mentale.
Blue Jasmine rappresenta, in un certo senso, un punto d'approdo molto importante all'interno della filmografia del regista statunitense. Woody Allen, infatti, senza troppa ironia dipinge un quadro particolarmente amaro e desolante, proponendo, una volta per tutte, il suo pensiero fortemente negativo e nichilista.
Il metodo che utilizza è quello dell'indagine psicologica: tutti i personaggi sono assai caratterizzati e, in questo modo, si portando in primo piano rispetto alla trama. Attraversi i personaggi di Ginger e Chili, di Hal, ma sopratutto attraverso Jasmine, il regista statunitense riesce a mostrarci (e denunciare duramente) tutte le metamorfosi sociali dell'uomo.
La protagonista è una donna di classe con grande gusto, ma non riesce ad andare oltre le apparenze e la materialità e, ogni volta, ricade nei suoi stessi errori. Dall'altro lato, la sorella e il suo fidanzato, sono umili e genuini ma, al tempo stesso, rozzi e ignoranti.
Non c'è quindi nessuna possibilità di rendenzione e poco importa se si è ricchi o poveri: nessuno si salva, perché nessuno si merita di essere salvato. L'uomo ne esce terribilimente sconfitto e umiliato, e nemmeno la fortuna, (tema principale in Match Point) può risollevare i destini dei personaggi.
Per raccontare tutto questo, Allen rinuncia alle battute e ai toni leggeri tipici delle sue commedie: se si ride lo si fa amaramente. Sono molti di più, invece, i momenti e le situazioni sconfortanti, nonostante non siano mai raccontate in modo marcatamente drammatico. Jasmine che parla da sola un po' ci fa sorridere, ma le sue ultime parole, pronunciate in solitudine in una panchina poco fuori di casa, diventano pesantissime; non tanto per il contenuto, ma perché diventano il segno della completa perdita di lucidità e di razionalità della protagonista.
Non sono l'analisi psicologica, ma anche le tecniche di linguaggio ci mostrano un Woody Allen in pienissima forma. Il montaggio funziona alla perfezione e i continui salti tra il presente e il passato, tra San Francisco e New York, contribuiscono a rimarcare questa sensazione di allontanamento dalla realtà di Jasmine: ogni situazione, ogni parola diventa un pretesto della protagonista per viaggiare indietro con la mente e tornare ai tempi felici (e vuoti) in compagnia del marito Hal. Tutto procede in alternanza, in modo che anche gli svolgimenti più importanti del passato vengano svelati verso la fine dei 98 minuti di pellicola.
La fotografia è tutta incentrata sul giallo, a rimarcare la condizione precaria e frebbricitante di Jasmine.
Naturalmente, la grande maestria del cineasta americano si riflette totalmente nella gigantesca figura di Jasmine: un personaggio descritto e curato nei dettagli, nel suo lento scivolare verso il baratro e verso la completa perdita della ragione. I suoi sguardi persi nel vuoto, i suoi dialoghi/monologhi, la sua antipatia e la sua scontrosità vanno a creare una figura dalla psicologia sovrabbondante, particolarmente difficile da gestire (ma non per il regista).
Jasmine, in un certo senso, rappresenta la sintesi di molti dei personaggi alleniani, incapaci di vivere e di accettare la realtà. Questa volta, però, come ho già scritto prima, non c'è spazio per la comicità, ed è per questo che l'ultima creazione di Woody Allen si pone a metà tra la tradizione e l'innovazione.
Il merito, però, non è solo del regista: l'interpretazione di Cate Blanchett è formidabile ed esaltante. L'attrice australiana è riuscita a rendere alla perfezione il personaggio, restituendo così uno dei personaggi più belli di tutta la produzione del regista statunitense.
Sono comunque da menzionare anche le ottime intepretazioni di Sally Hawkins, di Alec Baldwin e di Bobby Cannavale.
Blue Jasmine segna il grande ritorno alla regia di Woody Allen. Credo di poter affermare, con quasi assoluta certezza, che si tratta del suo film più importante degli ultimi cinque anni e, forse, di tutta la sua produzione dagli anni duemila ad oggi.
Una pellicola importante che deve essere guardata, per rendersi conto, ancora una volta, che il cinema di Woody Allen è veramente una di quelle "cose per cui vale la pena di vivere".
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