Regia di Woody Allen vedi scheda film
Non so a chi pensava Woody quando scriveva la sceneggiatura e se gliela ha cucita su misura, certo è che Cate Blanchett se ne è impossessata e ne è diventata la mattatrice, ne è diventata la materializzazione carnale. Non solo: ha assorbito tutta l’insicurezza e la nevrosi di Woody Allen, come regista e come uomo come lo conosciamo.
La morte, le malattie, il sesso, le donne. Forse non sono solo questi i temi che tratta Allen nella sua sterminata filmografia, ma per lo meno sono quelli dominanti. La donna non è l’ultima in graduatoria, anzi è la creatura che mette sempre al centro dei suoi racconti. E se il rapporto ora facile ora difficile ma sempre complesso che lui ha avuto con la femmina, questa è sempre stata il fulcro attorno al quale fa girare le trame. Grandi amori, buon numero come quantità (nonostante non sia certamente un bell’uomo), figli naturali e adottati, scandali familiari, ma lui continua a sfornare film, non sempre all’altezza della sua fama e delle nostre aspettative. Le donne della sua vita hanno avuto anche tanto successo per merito dei suoi film, perché amandole le ha iconizzate tramite i suoi eccezionali script. Questa volta però si ha l’impressione che la donna del film, Jasmine, abbia surclassato tutte le figure femminili precedenti, perché se nelle altre occasioni (vedi Diane Keaton o Mia Farrow) la protagonista era una donna sicura di sé e punto di riferimento e di attrazione per il titubante e insicuro personaggio di Allen, o coprotagonista nel cast senza molto primeggiare (vedi Match Point, Vicky Cristina Barcelona e tanti altri), questa volta assistiamo ad una vera esplosione del personaggio femminile. Per novanta minuti Jasmine-Blanchett domina lo schermo, non sta zitta un attimo, irrompe con i suoi biondi capelli in tutte le scene, trainando come un trolley la sua nevrosi.
Non so a chi pensava Woody quando scriveva la sceneggiatura e se gliela ha cucita su misura, certo è che Cate Blanchett se ne è impossessata e ne è diventata la mattatrice, ne è diventata la materializzazione carnale. Ha dominato la scena in tutte le sequenze, è stata sempre al centro dell’attenzione dello spettatore e degli altri personaggi. Non solo: ha assorbito tutta l’insicurezza e la nevrosi di Woody Allen, come regista e come uomo come lo conosciamo. Balbetta, gesticola, litiga come fosse Woody: una Woody in gonnella in pratica. Se questa storia avesse avuto come protagonista un uomo sicuramente l’avrebbe potuto interpretare lui stesso, ma (il “ma” dobbiamo considerarlo) non sarebbe stato all’altezza di una straripante e magnifica Cate Blanchett. Che è sempre brava, è sempre un incanto veder recitare, ma stavolta ha dato il meglio e se si parla (sempre prematuramente) di premio Oscar le ragioni ci sono tutte. Questo film non sarebbe stato lo stesso con un’altra attrice, impossibile.
Il montaggio poi riesce a mettere continuamente a confronto le due Jasmine della storia: con i frequenti flashback lo spettatore può notare il viso della agiatissima signora Francis, che viveva tra feste gioielli pellicce autista voli di prima classe appartamento nell’Upper East Side (“Le mie feste erano le migliori di tutta N.Y.”), e il volto disfatto con gli occhi sempre umidi di lacrime pronte a scorrere della nullatenente Jasmine. Una moderna Blanche DuBois di “Un tram che si chiama Desiderio” che ricorda i bei tempi in cui era bella e benestante. Entrambe raccontano bugie sulla situazione che stanno vivendo, ma si sa, le bugie non portano lontano e quando Jasmine sta trovando forse un nuovo amore e una svolta alla sua vita tutto crolla proprio per colpa delle verità non dette. Dalla lussuosa abitazione di New York all’appartamento ordinario della sorellastra di San Francisco, dalla vita sfarzosa dei cocktail del jet-set all’umile lavoro di segretaria di un dentista arrapato, dal matrimonio con uno squalo imbroglione dell’alta finanza al corteggiamento di un operaio. Solo gli ansiolitici ingoiati con l’alcol riescono a tenerla in piedi nella speranza che le capiti l’occasione per rialzarsi.
A fianco della Blanchett la solita bravissima Sally Hawkins che interpreta la paziente sorellastra Ginger (dalla vodka-martini ad un semplice ginger?) e poi un buon cast capeggiato da un Alec Baldwin più asciutto fisicamente delle ultime apparizioni che interpreta il marito e che aveva conosciuto una sera ballando con la dolce musica di “Blue Moon”. Da cui probabilmente il titolo.
Il film di Allen non è un capolavoro ma la bravura eccezionale dell’attrice australiana lo rende magnifico, da non perdere e basta guardare il trailer originale per rendersene conto.
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