Regia di Woody Allen vedi scheda film
Jasmine è triste, e ce lo dice anche il titolo. Dunque non ci resta altro che immergerci in quella nevrosi della protagonista che è anche il suo fallimento finanziario ed esistenziale (dimensioni dannatamente unite) e che si traduce nell'imprevedibilità e nella complessità delle azioni che il maestro Woody ci racconta. Straordinariamente diretto dal regista americano tornato in America e stupendamente interpretato da Cate Blanchett, Blue Jasmine è espressione più alta della capacità di Woody Allen di costruire personaggi e di imprimerli nella memoria, attraverso il suo sguardo pastoso ed efficace che predilige i piani sequenza in grado di scivolare più o meno allegramente a riprendere i personaggi nelle loro azioni (e follie) quotidiane, senza invadenti primi piani (presenti ma non frequenti) e una luminosità che rende le immagini assolutamente riconoscibili del grande regista. Oltre però a rispettare la sua tipica regia, tante sono le novità del suo Blue Jasmine, che riesce paradossalmente a creare un personaggio che va ben oltre la macchietta e che sceglie le sue azioni senza mai essere responsabile diretta del proprio disastro, ma responsabile indiretta, involontaria, in ogni caso in buona fede. La viziata Jasmine, che siamo costretti a seguire nella coinvolgente ora e mezza del film, non è mai un personaggio classificato e lasciato a sé stesso, privo di qualsiasi connotazione e semplicemente creato per rappresentare qualcosa: è invece un personaggio ben delineato, complesso, in cui si può ritrovare la linea guida dell'affezione al denaro ma allo stesso tempo se ne possono notare caratteristiche più dettagliate, come tic, fissazioni, rimpianti, buone intenzioni, a dire che la realtà lei la vedrà sempre attraverso il suo punto di vista. Allen non generalizza, nonostante il finale in cui non cambia, in fondo, nulla, e tutto rimane com'è. Allen vuole immaginarsi e farci immaginare le reali situazioni di personalissime lotte contro un passato invadente e continuamente presente, che si rimpiazza con tutta la sua pericolosa portata alle bugie e alle speranze dei protagonisti, non solo di Jasmine che da ricca diventa povera e da sempre ha coltivato una malattia che il marito Hal ha seminato grazie ai suoi tradimenti, ma anche della di lei sorella Ginger, che non riesce a diventare ricca e torna in una casa con due figli (veri, non adottati) dopo aver divorziato da un uomo in seguito al fallimento dell'investimento di una loro vincita alla lotteria, investimento consigliato da Jasmine e incoraggiato da Hal. Ma se Hal era davvero un ladro (e in cifre prettamente cinematografiche è anche il ruolo identificatore del passato, ogni volta che compare nei flashback straordinariamente incastrati tra le vicende presenti come a rappresentare una memoria a singhiozzo), Jasmine è essenzialmente sincera, al suo interno, e aveva voluto aiutare la sorella. Jasmine era inconsapevole dei traffici finanziari e dei tradimenti del marito perché ogni volta che non vuole sapere qualcosa volta la testa, ed è anche sincera quando racconta di aver voluto aiutare i poveri in passato, quando era ricca, e crede di averlo davvero fatto, non sulla base di una mentalità ipocrita ma piuttosto di una mentalità ingenua, resa più fragile dal denaro e fatta lentamente impazzire. Come non comprendere i suoi piagnestei e le sue urla, di fronte a un fato (onnipresente in Allen) che le offre opportunità favolose e poi le volta la faccia; come non comprendere l'inconscia volontà di Ginger di aiutare la sorella, vista la comprensione che Jasmine desta sempre in chi è in grado di volere bene incondizionatamente nonostante l'invidia del sangue; come non comprendere che la fonte di ogni male è una terribile follia quotidiana (uomini invadenti, case per certuni fastidiose, tetti troppo bassi) che cambia di persona in persona perché la realtà è che siamo immersi in uno spaventosissimo relativismo?
Tantissimi sono gli stimoli di Blue Jasmine, tanto che il film meriterebbe davvero più visioni per gli impressionanti riferimenti e frecciatine che i personaggi si lanciano tra di loro, ed è inutile dire che il Caso, insieme al Passato, è uno dei personaggi protagonisti. Ma la cosa fondamentale, oltre alla riconferma dello stile favoloso e incredibile di Woody Allen, capace di far sorridere mestamente di fronte a una tragedia, è che riusciamo a comprendere un personaggio come raramente è successo in Allen, specie se è un personaggio viziato e fissato con il denaro, uno di quelli che normalmente si odierebbero ma a cui finiamo per affezionarci e su cui si possono vomitare quante più critiche possibile ma che rimane a suo modo puro, comprensibile, vittima assoluta di tutto ciò che c'è fuori di lui, ma anche vittima di un contaminato sé stesso. Ottimo lavoro, Woody.
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