Regia di Woody Allen vedi scheda film
Illusioni e aneliti nelle lacrime amare di Jasmine
Una delle pellicole di Woody Allen ricche di classe, indubbia eleganza, cura e raffinatezza. Ma anche un’opera calibrata e asciutta; un vivido e complesso ritratto femminile, ottimamente disegnato con maturità e sensibilità rare al cinema di oggi e sapientemente caratterizzato in funzione di un umorismo freddo e pungente, ma anche buono e compassionevole.
“Blue Jasmine” è un dramma di psicologie fragili (depressione, esaurimenti, superficialità) che si descrive tra presente e passato (attraverso flashback continui) e si racconta sulle disgrazie della protagonista. Una tragedia, amara e disillusa, smussata nei toni e serrata nel ritmo, vitale e vibrante come molte efficaci sequenze, molti dialoghi arguti, molti eloquenti primi piani. E il film poggia sui primi piani, quelli più intensi e sinceri, cupi e concreti sul volto dolente e devastato da profondi malesseri, di una sempre affascinante, e (in questo film soprattutto) eccezionale attrice, Cate Blanchett. Un’interprete perfetta, una prova di recitazione di altissimo livello, un ruolo giusto e scritto su misura per lei. La sua meravigliosa performance non solo dà forza e valore aggiunto ad un’opera già di per sé profonda ed intensa; ma riesce anche a trasmettere in modo massimale, autentico ed emozionante tutto il senso tragico del suo personaggio e di riflesso del film.
Nell’acuta rappresentazione delle ossessioni e insicurezze che dominano sentimenti, pensieri e stati d’animo della sua Jasmine; nelle vicende della sua seconda vita; nei suoi monologhi, si legge la lucida e pessimistica riflessione del suo autore sulla crisi di una classe sociale benestante e di un mondo come quello attuale fragile, smarrito e confuso.
Sulle note malinconiche di un determinismo beffardo, è ancora una volta il destino a farla da padrone e a soggiogare l’essere umano; quel destino ineluttabile che anche Jasmine, più cerca di evitare e più vede inesorabilmente manifestarsi. Stavolta però non è disegno di ciò che le ruota intorno; stavolta il disegno è scritto in lei: è lei stessa vittima del suo stesso Io. Quel malessere che l’accompagna è sempre stato insito nella sua esistenza e sempre lo sarà, e ogni sforzo per provare a cambiare la sua vita e la sua profonda interiorità non può che risultare vano e grottesco.
Un regista e una Blanchett in stato di grazia quindi, ma anche perfettamente supportati da un altrettanto ottimo cast: da Sally Hawkins (Ginger, la sorella, che è agli antipodi con lei in tutti i sensi) a Peter Sarsgaard.
Altro punto di forza del film è la sceneggiatura, dura e interessante, pregna di ironia (vedi lo scontro di classe tra la raffinata borghese Jasmine e Ginger, commessa in un supermarket) e di tensione drammatica (conflitti familiari irrisolti e vecchi rancori, sensi di colpa e inadeguatezze), che pur tra momenti didascalici e imperfezioni varie, resta solida e ben riuscita. E soprattutto vivacizzata da riprese eleganti e fluide che circondano gli attori e da una fotografia che illumina con gelido calore ognuno di loro e ogni luogo.
“Blue Jasmine”, la triste Jasmine. Un film difficile da dimenticare. Come difficile è cancellarci dagli occhi e dal cuore la fragilità, la solitudine e l’insoddisfazione della sua protagonista e quel desiderio a sopravvivere con dignità, trasmesse con commovente amarezza dal suo aggraziato sguardo e dai suoi dolci occhi delusi…
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