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Blue Jasmine

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Blue Jasmine

di LAMPUR
8 stelle

Lo avevamo lasciato, Woody, a compiacersi sulle ceneri del suo cinema che fu. Lo ritroviamo devastante oggi, complice una mostruosa Blanchett, che catalizza e permea di se l'intera pellicola, in una storia accartocciata su se stessa, labirinto senza uscita, dove anche il lieve bagliore di fine tunnel si rivela gioco di specchi ad infrangere di nuovo ogni speranza.

Woody abbandona le camilleristiche velleità di giallista alla buona e si adagia nell'ecletticità del dramma che solo un grande umorista può elevare ad icona.

E frega due volte lo spettatore che, in perenne attesa della svolta sarcastica, si vede man mano immerso nel calco tragico di una vicenda volutamente a cul de sac.

Sullo sfondo il contrasto tra classi, il distacco di sentimenti, il solco che sempre più avvertiamo anche noi, tra ricchi e poveri, semplicità e spocchiosità, onestà e cinismo.

Allen su questa ragnatela sociale cala, anche se con prevedibili conseguenze, l'asso della contaminazione rifiutata, facendo emergere magistralmente attriti ed incongruenze in maniera molto più realistica ed efficace di tanti venerati maestri del dramma.

Le montagne russe della diversa scala sociale vengono abilmente percorse coinvolgendo a strappi lo spettatore anche a mezzo di esatti flasbacks.

Certo di peli nell'uovo ce ne sarebbero ma siamo talmente oltre le ultime supponenti prove che la soddisfazione traspare lampante e perdoniamo tutto.

La nostra Jasmine che ha preso una strada “diversa dalla sorella” non ci si trova proprio a combattere in un’altra dimensione.. un po’ come la Lazio a lottare per la retrocessione.. ma Woody ce la disegna molto estrema, amante dei capi “firmati” e con la testa tra le nuvole riguardo i magheggi del marito, ma anche fredda e cinica quando si tratterà di abbandonare i deliri sognati e di rivelarsi donna di nuovo “sul mercato”.. rimaniamo dell’idea che la stratosfericità della Blanchett supplisca da sola a qualsiasi stortura sceneggiatoriale; una Cate in stato di grazia che istrioneggia e gigiona come non mai sfruttando tutta la gamma degli stati d’animo, delle incomprensioni, degli imbarazzi, delle sbavature, dei tipici tic alleniani, delle ribellioni, ben coadiuvata dai chirurgici flashbacks che la vedono, in alternanza, ora vittima e ora carnefice.

L’impressione monella è che Woody una volta in partita voglia strafare, allentare ogni tanto il solido guinzaglio di una belva ormai ridotta in deturpante cattività senza permettere mai che il volo ri(spicchi), ma su questa falsariga, alla fine spina dorsale, deve rinunciare anche lui al minimo sprazzo che, come accennato prima, lo spettatore attende fin quasi alla fine, come a smascherare questo tormento denso.

Al termine non si sottrarrà all'ultimo, melodrammatico, atto utile se non altro a sottolineare nuovamente le differenze di destino, aspettative e casta che separano inesorabilmente Jasmine da quel tesoro di sua sorella

Giusto un ultimo interrogativo: avremmo ottenuto lo stesso risultato senza questa mastodontica Cate?

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