Regia di Sam French vedi scheda film
Ahmad e Rafi sono due ragazzini afghani, che sognano di diventare campioni di buzkashi, la tradizionale disciplina sportiva in cui alcuni uomini a cavallo si contendono una pelle di capra. La loro realtà, però, è ben lontana da quel mito di coraggio e prestanza fisica. Ahmad, che è orfano, è costretto a guadagnarsi il pane chiedendo l’elemosina agli automobilisti di passaggio, in cambio di un piccolo rito magico propiziatore. Rafi, invece, aiuta il padre fabbro nella sua bottega. Le loro giornate sono fatte di duro lavoro, ma, non appena capita l’occasione, corrono allo stadio per assistere allo spettacolo che tanto amano. Al presente, così avaro ed irremovibile, rigidamente impostato sulla necessità, i due piccoli protagonisti vogliono opporre un futuro impossibile, straordinariamente glorioso, in cui la competizione non è lotta per la sopravvivenza, ma soltanto un gioco dai contorni leggendari. Questa è la sfida che i due amici intendono affrontare insieme, e che costituisce l’essenza della loro complicità. La storia di questo cortometraggio – finalista al Premio Oscar 2013 - è incredibilmente simile a quella del suo concorrente Asad, di cui sembra la traduzione in un altro contesto culturale. In entrambe le opere, il racconto è basato su un realismo impastato nelle fantasie ad occhi aperti, nella gioia inebriante di poter essere altro da ciò che la vita si aspetta da te. Un gusto campestre della favola eroica sopravvive, nei cuori semplici di due bambini, ai margini dei tumulti di una civiltà arcaica ma ormai abbondantemente inurbata, stordita dal caos delle città, dalle sue folle, dal suo traffico, dai suoi cumuli di rifiuti e rottami. Ahmad e Rafi non si arrendono all’anonimato della modernità: l’antico rudere di un maestoso palazzo fa da sfondo agli slanci della loro immaginazione, le cui creazioni sono gridate al cielo dall’alto delle sue mura. Arriverà, anche per loro – come per il piccolo Asad – il momento di rinunciare alle chimere per sottomettersi alle leggi del mondo. Ma ciò che accade, prima di quella crudele presa di coscienza, è poesia fiorita spontaneamente nell’arido terreno della miseria, che, se non dà frutti materiali, riesce però a creare idee da coltivare per sentirsi ancora vivi, benché umiliati ed incompresi.
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