Regia di Alex Pitstra vedi scheda film
Immerso dalla testa ai piedi nella storia per il fatto di raccontare la primavera araba laddove tutto è iniziato, ovvero nella Tunisia che tra il dicembre del 2010 e i primi mesi dell’anno successivo si apprestava a ratificare la svolta democratica con la caduta del vecchio regime e la votazione di un’assemblea costituente, Die Welt in realtà fa di tutto per smarcarsi dal resoconto cronachistico, preferendo la via del paradosso seppur servito con i toni di certo cinema sociale. Perchè, raccontando il paese attraverso un campionario d’umanità rappresentativo di quella gioventù insoddisfatta e disoccupata che ha permesso alla ribellione di nascere e prendere piede nel resto dell’area mediorientale, l’esordiente Alex Pitstra si mantiene alla giusta distanza dall’oggetto del suo sguardo, riuscendo nell’intento di non farsi influenzare ne dai fermenti del contesto locale, ispirati a ideali di giustizia universalmente condivisibili, ne dalla tentazione della visione unilaterale, quand’anche esistente - nella struttura di una trama che mette al centro l’insoddisfazione del giovane Abdallah rispetto alle proprie aspettative esistenziali e di lavoro - bilanciata dalla scelta di girare il film con un’oggettività di stampo documentaristico.
A uscirne fuori è la crisi di un paese che non sa più dove andare e il ritratto di una gioventù lacerata dalla mancanza di prospettive, raccontate con la fenomenologia cara agli amanti del cinema veritè ma con un punto di vista che va oltre il dato oggettivo, arrivando ad accarezzare l’onirico e il surreale nelle sequenze conclusive in cui la fuga nel mondo nuovo si trasforma in uno smacco drammatico e beffardo non solo nei confronti di Abdallah, che ha tradito se stesso e la sua famiglia pur di poter salire sul battello che lo dovrà portare a Lampedusa, ma anche delle possibilità di cambiamento individuate nella svolta democratica, naufragata nello scarto metaforico che il regista assegna alla scena conclusiva, quella si in grado di risollevare le sorti di un’opera ben fatta ma sin troppo corretta rispetto all’importanza della posta in palio.
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