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Die Welt

Regia di Alex Pitstra vedi scheda film

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Immorale

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La recensione su Die Welt

di Immorale
8 stelle

La rivoluzione ! E poi ? (cit.)

La spirale del mondo di Abdallah si è fermata. O, meglio, la rivoluzione, il movimento vitale che stabiliva i suoi punti fermi nella quotidiana routine familiare e lavorativa ha invertito il senso di rotazione, ai suoi occhi, rallentando la sua (sacrosanta ?) ispirazione di adesione “ragionata”, secondo la sua sensibilità araba, al grande mondo capitalistico occidentale. Come il film “Transformers 2” che lui tenta inutilmente di razionalizzare in funzione antimperialista ad un poco ricettivo cliente della videoteca dove lavora (capitolo 1).

 

 

Concretezza già apparentemente innata o metabolizzata dai suo familiari più anziani, che hanno vissuto i tempi “eroici” delle passate migrazioni verso l’Europa, che raccontano oggigiorno con la nostalgia dei veterani, dove hanno lasciato affetti familiari apparentemente dimenticati preferendo il ritorno alla “madre” Tunisia. Che possono rimirare sornioni e specchiarsi nelle fatiche dei giovani migranti per ritagliarsi la loro fetta di benessere, spesso in odore di sfruttamento sessuale, ben sapendo, loro, che il paradiso è lì, a portata di mano, e non oltre una finestra aperta ma (volontariamente ?) irraggiungibile. Svezia, Olanda, Tunisia, idioma inglese: il mondo in un tavolo (capitolo 2).

 

 

I rituali scandiscono la persistenza della comunità, della cultura di un popolo; i padri apparentemente sembrano aver recuperato vitalità, le discussioni infiammano i luoghi tradizionali della loro esistenza (la sauna, il barbiere) e i luoghi politici per eccellenza (l’agorà), nel tipico modo mediorientale di riempire gli spazi aperti e di riunirsi in pigra socialità; caratteristica quest’ultima che spesso sorprende noi occidentali, che guardiamo con fastidio e con sospetto questi capannelli che spesso si formano nelle nostre città, in luoghi che abbiamo abbandonato per un supposto benessere circoscritto da mura e siepi. Si celebrano coreografici matrimoni e si vagheggia di separazione tra Stato e Chiesa, mentre i giovani amoreggiano, “cazzeggiano” e desiderano all’occidentale. E sognano la fuga (capitolo 3).

 

 

Ogni racconto, si dice, si ispira all’Iliade o all’Odissea; il viaggio di Abdallah sarà breve, la mèta esigua. Quanto l’incertezza di una nazione nel confrontarsi col mondo (capitolo 4).

 

 

L’olandese Pitstra, alla sua prima regia “lunga”, ovviamente prova a raccontare la realtà che conosce meglio, grazie alle sue origini tunisine: la difficoltà di un paese in una fase di transizione. L’unica nazione “felicemente” uscita dagli sconvolgimenti scaturiti dalla cd. “primavera araba” ovviamente vive invece una fase di limbo, dove tutto è in equilibrio precario e aleatorio. Stadi sociali “evolutivi” che non possono non sconvolgere e spaventare, con le sue molte paure e incognite. Ma che incredibilmente parrebbe reggere anche alla (sanguinosa) restaurazione integralista montante nell’area mediorientale. Paradigma di questa situazione è il personaggio di Abdallah, intrappolato tra tradizione e modernità, e che alla fine preferisce rifugiarsi in un pensiero ibrido di queste ultime. Lo stile scelto è in parte documentaristico (la divisione in capitoli tematici), la mdp non segue il protagonista ma “prepara” la sua entrata in scena costruendo i coloratissimi ambienti statici introducendo “scorsesianamente” personaggi secondari. Gli inserti autobiografici e onirici si innestano naturalmente nella trama, senza appesantirla, e dimostrano anche la sapienza della sceneggiatura (scritta in collaborazione dallo stesso regista), che paga forse solamente un percepibile lavoro di sottrazione ed una palese edulcorazione dei caratteri dei personaggi e delle situazioni.

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