Regia di Alex Pitstra vedi scheda film
Attraverso gli occhi di un ragazzo tunisino il regista europeo Alex Pitstra esperisce il mondo moderno. Con un piglio originale ed un fervore umano che, nel film, diventano anche ardore tecnico ed estetico. Una visione necessaria, consigliata a chi (specie in Italia) guarda troppa TV.
“Die welt”, il mondo. È quello che sogna Abdallah, dopo la famosa primavera araba. Una rivoluzione che ha cambiato gli equilibri politici, ma non quelli sociali, che ha cambiato le prospettive, ma non la realtà.
Ci fornisce la sua versione Alex Pitstra, regista olandese al suo primo lungometraggio. Il film è ambientato in Tunisia, dove con una camera tarantolata, una fotografia fluttuante e delle lunghe e fitte scene di dialogo il regista conferisce il punto di vista “orientale” sulla Rivoluzione dei Gelsomini, sulla condizione sociale tunisina, sulla considerazione della modernità, sulla differenza tra le generazioni, sul rispetto del fattore religioso. Proprio quest’ultimo appare marginale, in barba a quanto passa al di qua del Mediterraneo. La cultura, non la religione, dei nordafricani è, come in tutte le altre nazioni del mondo, peculiare. E per tanto diversa. Con i suoi costumi, le tradizioni, i riti. Ma soprattutto, come nel nostro caso, ricca anche di preconcetti (da questo punto di vista è emblematica la scena iniziale in cui Abdallah racconta come un film considerato di pura evasione come “Transformers 2” possa essere visto come profondamente politico).
La divisione in capitoli del film è l’escamotage per schematizzare l’evoluzione sociale e politica di un popolo. Da “L’imperialismo” a “Il mondo” le cose sono profondamente cambiate. Ma se oltre alle tecnologie (che consentono a tunisini ed olandesi di stare a contatto anche direttamente da casa propria), alla politica (si parla velatamente della deposizione di Ben Ali), e nonostante un robusto fervore sociale, non cambiano anche gli uomini, il destino non può essere che beffardo, come Abdallah comprenderà benissimo.
Emblematica pertanto risulta la fotografia: le scene oniriche hanno una connotazione pulita, luminosa, mentre è la realtà ad essere tracciata dagli autori attraverso una illuminazione che sfiora il nonsense.
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