Regia di Bruce Beresford vedi scheda film
Un ricco industriale della Georgia (l’imbolsito e scarsicrinito Dan Akroyd) ingaggia un anziano, e paziente, autista di colore per accompagnare la bisbetica madre in giro per Atlanta. Il rapporto tra Hoke e Daisy è complicato fin da subito: lei non ci tiene a condividere emozioni o a concedergli confidenze, lo accusa col figlio di aver rubato in cucina, addirittura più volte lo invita ad uscire da casa propria. E non è una questione di razzismo: Daisy, ebrea e abituata alle discriminazioni di una certa America degli anni ’50, ha con sé un’altra aiutante di colore, una cameriera per lei indispensabile. Si tratta semplicemente di diffidenza, di quel sentimento quasi ontologico in chi è abituato ai propri spazi e ai propri ritmi per condividerli con colui che irrompe all’improvviso nella propria esistenza. Ma Hoke è un tipo sereno che, nonostante i tentativi di destituzione, finirà per diventare l’insostituibile sostegno della vecchia e burbera signora Daisy.
Che film si può ricavare solamente con un autista nero ed una vecchia ebrea? Un film da 4 Oscar! Quando la sceneggiatura e soprattutto i dialoghi sono messi a punto in maniera impeccabile, anche un film semplicemente con 2 personaggi (e pochi altri di contorno), una vecchia automobile ed una villa alla periferia di Atlanta sono elementi sufficienti per realizzare una pellicola che è un gioiello intimista, intelligente e commovente. Da applausi le interpretazioni dei due protagonisti: Morgan Freeman esplode con la sua fisicità impacciata e la sua risata impareggiabile, nel film che gli apre le porte della Hollywood che conta; Jessica Tandy, premiata giustamente con una statuetta come miglior attrice protagonista, mostra le due facce complementari di un personaggio, austero e fiero fin quando in salute, fragile e delicato nel momento della necessità. Notevole l’equilibrio tra momenti di tensione e di sorriso.
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