Regia di Gustav Deutsch vedi scheda film
Shirley. Ovvero: "un viaggio nella pittura di Edward Hopper"
Il regista austriaco Gustav Deutch cattura con grande abilita' trent'anni di storia americana (dagli anni '30 della crisi economica ai '60 del boom economkco e dell'era spaziale), facendone coincidere millimetricamente tredici spesso note o notissime pitture del celebre artista, che sono rappresentare cinematograficamente nel rispetto della loro data cronologica di creazione, e nella ideale perfetta pianificazione dell'azione (ridotta al minimo in verità) che compone ogni singolo episodio-tela di riferimento.
Grande, grandissimo lavoro di ricostruzione: colori pastello dalle tonalità calde ma mai esasperate, arredamenti essenziali e spigolosi, postmoderni e freddi, impersonali ma efficienti; luci ed ombre che si appropriano dei movimenti dando tridimensionalita' e addirittura contribuendo ad esprimere il movimento, ovvero garantendo l'effetto dell'azione di situazioni altrimenti inevitabilmente statiche e fedeli al quadro (la scena del treno, che percepiamo si muova solo dallo spostamento delle ombre lunghe ed aguzze, taglienti come coltelli).
Un radiogiornale intanto ci introduce e collega questi "tableaux vivants" con notizie, importanti o meno, cruciali o anche frivole, che ci tuffano in un passato lontano, ma ricco di conquiste che ci hanno portato alla modernita' e dunque, nel bene e nel male, al presente che stiamo vivendo. Shirley e' il personaggio femminile, una bella donna sulla trentina che collega queste pitture e dunque le storie, rarefatte e riflessive, che il regista cosi' abilmente ha saputo costruirci attorno senza tradire l'effetto e lo stile del celebre pittore.
Shirley, inteso come un film a sé stante, non puo' che risultare artefatto e ardito per il suo inevitabile essere costruito a tavolino; se vogliamo può pure risultare a lungo andare sin stucchevole, soprattutto se il giochino del quadro vivente lo si volesse prolungare oltre l'ora e mezza che gia' talvolta fatica a scorrere.
Ma la contemplazione, la ricostruzione degli ambienti ovattati e quasi soffocanti nella loro perfezione naif che tende al concetto di fredda armonia piu' estremizzato, rendono questo film in qualche modo indimenticabile, unico, scenograficamente ricercato come un film di Roy Andersson, ma, a differenza delle opere di quest'ultimo, molto meno caricaturale e piu' intimista, serio e riflessivo .
"Hopper non rappresenta la realta', bensi' la mette in scena. La messa in scena ed in montaggio della realta' sono allo stesso modo la natura stessa e la ragione del mio film".
Parole del regista Deutch, e parole sacrosante.
Un unico personale grande rammarrico provato, potra' tuttavia forse essere evitato se chi non ha ancora visto questo film e avrà modo di farlo, avrà preventivamente modo di contemplare a lungo, magari su internet, soffermandosi nei dettagli, le tredici tele dell'artista prese in considerazione; ma tutto ciò PRIMA di vedere il film, in modo da maturare con più preparazione il senso della tela presa in esame e portata in vita. Ciò potrebbe senza dubbio costituire un aiuto preziso a vivere con maggiore emozione questo abile approfondito lavoro di ricostruzione, ardito ma lodevole tentativo di gemellare di due arti cosi' vicine, affini, coerenti tra loro, ma anche cosi' lontane ed inconciliabili.
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