Regia di Fabrizio Ferraro vedi scheda film
Inaccessibile come il precedente Penultimo paesaggio, con il quale Quattro notti di uno straniero forma un dittico sulla solitudine, sull’impossibilità della comunicazione e del contatto. Di maniera, perciò sempre alla maniera di Fabrizio Ferraro, che torna a raccontare la stessa storia (Parigi, un uomo, una donna e un precipizio filosofico-esistenziale) chiedendo l’ennesimo, enorme sforzo allo spettatore. Chi lo accusasse di snobismo intellettuale non avrebbe tutti i torti. Ferraro mette in scena un’altra cartolina in bianco e nero bellissima da un punto di vista compositivo e fotografico, ma in cambio chiede al pubblico di rinunciare all’appiglio di una qualsiasi narrazione, di abbracciare una totale assenza di ritmo e la noia. «Un film per tutti e per nessuno», recitava il precedente lavoro, ugualmente disinteressato alla trama e alla comprensione, analisi di una condizione piuttosto, volontà a tutti i costi di essere cinema fuori dal coro. Un uomo, ripreso di spalle, sale lentissimamente decine di rampe di scale, cammina incessantemente di giorno e nella notte. E poi una donna e il fiume, e ancora quell’uomo che ascolta lezioni base di francese o si lava o osserva i battelli che attraversano la Senna. L’avanguardia, se così la vogliamo chiamare, costruisce il suo discorso in una ventina di minuti, gli altri sono ricercatezza estetica pura, vuota ostentazione autoriale. Un’indagine che di per sé è già mancanza di comunicazione.
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