Regia di Wladyslaw Pasikowski vedi scheda film
Il ritorno è l’inizio di un
storia solo se porta ad accorgersi che nulla è più come prima. Che ci sono
nuovi perché, affiorati col tempo, che unicamente chi viene da fuori può
cogliere, per effetto dello straniamento provocato dalle cose che,
impercettibilmente, e senza un’apparente ragione, poco a poco cambiano. Un
familiare è diventato un estraneo. Una vita normale si è trasformata in un incubo.
Franciszek Kalina, emigrato dalla Polonia a Chicago ai tempi di Solidarno??,
dopo vent’anni ritorna al villaggio d’origine, dove il fratello Józef è rimasto
solo ad abitare nella vecchia cascina. La moglie ed i suoi figli lo hanno
abbandonato: sono scappati di casa, ed hanno attraversato l’oceano, trovando
rifugio presso il cognato negli Stati Uniti.
Franciszek è seriamente intenzionato a scoprire l’origine di quella fuga. La sua permanenza nel paese, in
un primo momento, non farà che aumentare i suoi interrogativi: la gente del
posto è stranamente ostile nei suoi confronti, e lui e Józef vivono circondati dalle dure
manifestazioni di un rancore tanto feroce quanto inspiegabile. Il primo
indizio, per poter cominciare a capire, è una serie di lapidi dissotterrate e
ricollocate nel campo di grano coltivato da Józef. Insieme ad esse, alcuni
temibili fantasmi sono forse riemersi da un oscuro passato, di cui nessuno
intende parlare. Il mistero assume la triste veste di una diceria di paese che
impropriamente si trasforma in un tabù religioso. La superstizione si copre di
tinte diaboliche, l’umanità si sfigura secondo la più volgare versione dello homo homini lupus. Le realtà piccole ed
appartate fungono da cassa di risonanza alle voci dell’inferno. Quegli echi,
prodotti in epoche remote, vi rimangono per sempre imprigionati, mentre il
resto del mondo dimentica e procede oltre. In quel luogo divenuto arcanamente
infido, Franciszek si imbatte in una sorta di mostruoso anacronismo, un odio
che non sembra appartenere alla modernità, perché si direbbe cresciuto in un
ambiente ancestrale, in cui la verità non si dice, in quanto è scritta nelle
leggi della natura. Il silenzio circonda ciò che tutti sanno. Non è connivenza,
né omertà, è solo il terrore di scoperchiare il vaso e liberare i demoni. In
loro nome si compiono azioni terribili. Così è stato, in un momento di cui si è
quasi persa la memoria, e così continua ad essere. La paura della maledizione
si tramanda di padre in figlio, e si esorcizza con atti disumani. La
persecuzione dei più deboli è la pratica collettiva su cui un’intera comunità
fonda la propria sopravvivenza. Ci sono
tombe che devono restare nascoste ed inviolate. Un macabro senso della
sacralità ha protratto, oltre la sua naturale fine storica, un orrore che non ha ormai smarrito le sue radici
ideologiche. È bastato trapiantarlo, di passaggio, in quella terra sperduta,
perché germogliasse subito in un’infiorescenza selvaggia, priva di raziocinio,
infarcita di una voracità primitiva e indomabile. Ora è una bestia gigantesca e informe, che domina
il paesaggio ed è difficile da mettere a fuoco. Pok?osie ci racconta l’angosciante percorso di questa indagine:
un’allucinazione che proietta sull’oggi le antiche ombre di un’atroce assurdità. Una presenza immane e
segreta che regna, come una divinità pagana, nei luoghi rimasti fuori dal
trascinante e salutare oblio di un progresso che corre, cancellando le tracce
dietro di sé.
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