Regia di Hiner Saleem vedi scheda film
Arbil, capitale di una ritrovata tendenziale tranquillità che stride con le abitudini e le attitudini del dinamico Baran, eroe curdo fino a poco prima sempre in testa ai moti rivoluzionari fautori dell'indipendenza. Ora che lavora nelle forze di polizia, la noia della quotidianità lo sta lentamente soffocando, tanto da fargli premeditare le dimissioni. Almeno fino al giorno in cui gli viene proposto di stabilirsi in una remota regione periferica. arida e selvaggia, luogo di confine per eccellenza e territorio di passaggio ed incrocio di civiltà e culture, essendo la regione posta al confine di ben tre stati: Iraq, Iran e Turchia.
Territorio di confine per eccellenza, zona di passeur, di brigantaggio e traffico illegale di droga, la regione trova nel boss locale il personaggio di riferimento e l'epicentro di un commercio clandestino fiorente a finanziare ben altre attività al di fuori della legge. Fiero e tenace oppositore del brigantaggio dilagante in quelle steppe semidesertiche a suo modo affascinanti di desolazione sincera e disarmante, tra costruzioni abbozzate di case essenziali ma dalle geometrie ricercate, spesso rifugio di dissidenti e rivoltosi, Baran è solo contro tutti, ma trova come alleata (e molto di più in effetti) la bellissima maestra Govend,
tenace spirito ribelle che rifiuta le convenzioni retrograde e castranti con cui viene soggiogata ogni donna presso quelle latitudini: fieramente nubile, vestita all'occidentale, la donna riceve il disprezzo e la prepotenza dei fratelli maschi che non perdono occasione per umiliarla, ma il suo sguardo triste, malinconico e mai domo, troverà l'occasione di mutare espressione rivolgendosi alla speranza, grazie ad una fuga salvifica assieme all'eroe, dopo che la giustizia viene assicurata col sangue. Western atipico ironico e spietato, che ricorda per ambientazione quel Dust di Mankevski interessante quanto bislacco, My sweet pepper land si fa forza della straordinaria fascinazione del paesaggio circostante avvolto da una vegetazione essenziale e scarna, e da una coltre nuvolosa spessa e seducente che avvolge uomini, cose, traffici e delinquenza in un suo ventre materno imponente e protettivo. Un inizio ironico e quasi (tragicamente) divertente e scanzonato fa posto molto presto alla drammaticità furente di una caccia all'uomo che non lascia spazio alla pietà e alla commiserazione.
E la carneficina che ne seguirà avrà il sapore di una giustizia determinata ed implacabile, quasi divina che non accetta mezze misure o contrattazioni. Golshifteh Farahani è probabilmente la donna più bella e perfetta che possa travolgere gli schermi e quindi i nostri occhi di spettatori. Star acclamata e indipendente, intransigente ed inevitabilmente in fuga dai territori natii dove peraltro spesso si ritrova nelle sue storie cinematografiche drammatiche e contemporanee, l'attrice meravigliosa, dopo le prove apprezzate con Kiarostami di Shirin, dopo Farhadi di About Elly, e Atiq Rahimi dell’intenso Come pietra paziente, incanta un'altra volta col suo viso perfetto triste e sconsolato che rasenta la perfezione e quella purezza che la gente del suo popolo invece interpreta, nella sua esplicitazione senza false remore o inutili pudori, erroneamente come un affronto, una ostentazione e dunque un oltraggio a regole e convenzioni religiose ed etiche ormai (e per fortuna) sempre più inaccettabili.
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