Regia di Bill Condon vedi scheda film
Da “Quinto potere” (Network) - appellativo della televisione come evoluzione della stampa (cartacea), a sua volta il famigerato “quarto potere” da 230 anni a questa parte – a questo “Il” quinto potere(The Fifth Estate), con riferimento ad un “nuovo” scalzante (e scalpitante) mass media (internet ed il digitale), dalle potenzialità ancora più devastanti. Una mera parte variabile del discorso (nella traduzione italiana) separa 2 strumenti di informazione/deformazione di massa alternativi, dalla funzione sociale uno più dirompente dell’altro.
È, dunque, l’impatto virulento di questa funzione sociale (per quanto sfocato dal punto di osservazione prescelto, esposto alle eccezioni di parzialità mosse da più parti e, a tratti, condivisibili) l’oggetto centrale del film.
A tacere del fatto, per l’appunto, che l’angolo visuale è quello, relativo, dell’emarginato (ergo da “maneggiare” con ancora maggiore prudenza) ciò non può svalutare più del dovuto il costruttivo servizio che un’opera del genere fa al suo pubblico (purtroppo scarso).
Raccontare le origini, il fondamento razionale, il senso e lo scopo di una piattaforma che si fa portavoce dei segreti più tetri del modo.
Raccontare (di sponda) i fatti scomodi che quei segreti nascondono.
Raccontare i rapporti di forza fra gruppi di interesse più o meno istituzionalizzati (governi e relative agenzie di intelligence – da un lato – e liberi forme associative dall’altro).
Raccontare l’incursione della trasparenza nel cono d’ombra della ragion di Stato, costi quel che costi. Anche se non tutti (fra i fautori dell’utopia rivoluzionaria che è alla base…) sono disposti ad accettarne gli effetti collaterali.
E qui torniamo al rovescio della medaglia. La lotta intestina di “potere” che sconquassa il nocciolo duro di tale piattaforma, con conseguente raffigurazione poco lusinghiera della personalità (malata? Senza ombra di dubbio verrebbe da credere dalla visione del film) del suo fondatore.
Sceneggiatura, comunque, sufficientemente solida e supportata dalla direzione nervosa di B.Condon che incalza senza pace anche lo spettatore; il ritmo (di sequenze e fatti rigettati sul pubblico dei telespettatori) è martellante, non dà requie e spesso non consente di metabolizzare tutto l’enorme flusso di dati che attraversano il mondo ed attraverso il digitale ricadono a pioggia su milioni di device che siano pronti ad attingervi). D’altro canto le opzioni stilistiche e la natura sintetica delle immagini appaiono coerenti ai contenuti della pellicola (nickoftime);La figura di J.Assange non ne esce granchè bene (vittima di un accanimento in climax; spiazzante), ma, a mio avviso, ciò (nell’economia del film e di ciò che porta in dote) non è determinante (ciascuno si farò le proprie idee al riguardo).
Merita certamente una visione (senza preconcetti).
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