Regia di Luciano Emmer vedi scheda film
Emmer è bravissimo con la cinepresa: pochi movimenti e una direzione attoriale ammirevole. Apparentemente riemerse da un dramma sociale scottante, le vicissitudini della pellicola percorrono stradine anguste nelle quali pare impossibile lasciare un’impronta di tipo politico. La commedia e l’erotismo sono in agguato. In realtà la sceneggiatura fa a meno di certi didascalismi, puntando su un’anima tormentata più di quanto non sembri e percorrendo l’intimità degli altri personaggi da cima a fondo, infine esplorando territori inusuali per un film italiano girato all’estero.
D’altronde l’incipit è rimarchevole: prendete quattro emigranti, caricateli di una zavorra fatta di miseria e malinconia, e trasferiteli ai confini tra Belgio e Olanda, giù nelle miniere di carbone dove mancano luce e aria. Poche volte il cinema è stato così fulmineo nel condurci alla claustrofobia lavorativa; un’intolleranza al mestiere giustificata dal “regno dei morti” nel quale viene spedito Vincenzo (Bernard Fresson) nel suo primo giorno d’impiego. L’esperienza è traumatica e ritornare sul posto pare inconcepibile. Meglio cambiare zona e perdersi tra i canali di Amsterdam insieme all’amico Federico (un Lino Ventura vivace e spregiudicato), a osservare le ragazze in vetrina, pronte a trascorrere un intero week end al tuo fianco. Il rischio è quello di scambiarle per sirene magiche, creature celesti ingabbiate (anche loro) in una vita che non è (più) Vita, pronte a innamorarsi del primo animo gentile e sprovveduto.
La censura dell’epoca s’intese di infierire sul film vietandolo, tagliando metri e metri di pellicola, facendo ostruzione e ritardandone la diffusione. Non tolleravano l’idea dell’italiano onesto lavoratore invaghitosi di una prostituta. Il regista pagò caro questo eccessivo conservatorismo e fu costretto a sospendere la sua attività per tre anni.
Finale intelligentemente aperto a varie interpretazioni.
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