Regia di Stefano Lodovichi vedi scheda film
In gita scolastica, la sedicenne Amanda inizia a corteggiare il compagno di classe Alberto, più per una sfida con l’amica del cuore Barbara, popolare, spigliata e disinvolta, che per vero interesse. Alberto è solitario e introverso, “uno sfigato”, secondo i suoi coetanei. Con il suo cellulare, il ragazzo riprende e fotografa tutto quello che gli capita sotto tiro. Passa le serate davanti al computer, facendo sesso on line a pagamento, illuso di trovare in Nanà, “la ragazza in vetrina”, oltre che un’amante con cui soddisfare il suo personale piacere solitario, una confidente e amica. Ben presto il sentimento tra i due ragazzi si rivela sincero ed autentico, suggellato da un tatuaggio sul cuore (una A al quadrato, iniziale dei due nomi) che Amanda si fa fare dalla sua amica. Alberto però sembra frenato, soprattutto nei momenti di intimità, dalla sua ossessione per le riprese. Quando la ragazza scopre per caso le abitudini e la dipendenza di Alberto, decide di stare al gioco. Un video però fatto circolare inopportunamente per la rete, rischia di mandare all’aria il loro affetto.
Uno sguardo finalmente non ovvio né manipolato sugli adolescenti di oggi. Il regista Stefano Lodovichi, al suo debutto nel lungometraggio, dopo il bel corto “Dueditre” (visibile su You Tube e in cui è riconoscibile il medesimo tocco gentile, poetico e delicato), anche sceneggiatore con Davide Orsini, senza presunzioni, inutili moralismi o irritanti e sciatte semplificazioni, racconta con trasparenza, sensibilità e misura, un pizzico di giusto romanticismo, un’età difficile, fatta di paure, errori, incomprensioni, ansie, ma anche di tenerezze, desideri, ingenue ribellioni, scelte coraggiose e lampi di gioia. La solitudine di due ragazzi come tanti, tra slanci d’amore, intime confidenze, litigate furiose, gesti istintivi, vista con occhio complice ma mai accondiscendente, con affetto, ma senza sentimentalismi. A parte qualche ininfluente vezzo (l’uso forse eccessivo del rallenty e una musica a tratti leggermente invasiva), un paio di scorciatoie narrative e soluzioni visive di sicuro impatto spettacolare ma che personalmente ho trovato non necessarie nel contesto del racconto (quella gigantesca A scarlatta sul vetro della scuola, in un’immagine senza dubbio efficace, tanto da essere poi utilizzata anche come manifesto del film), stupisce nel giovane regista (classe 1983) la sintonia contagiosa con i suoi due bravissimi ed affiatati protagonisti, autentiche rivelazioni, finalmente ragazzi credibili e veri che non scimmiottano una realtà fasulla e preconfezionata. E’ bello il personaggio di Alberto che fatica a stabilire un contatto fisico con Amanda, perché chiuso ed alienato nella sua realtà virtuale, troppo abituato ad un rapporto asettico ed impersonale con lo schermo di un computer che lo assorbe ed annulla inibendolo, così come colpisce la ferma dolcezza di Amanda, ragazza consapevole, vitale, comprensiva e matura, capace di mantenere la sua fragile innocenza, anche quando accetta di farsi audace per il suo ragazzo. Gli adulti restano giustamente fuori campo, ben lontani dall’essere figure di riferimento, perché in quel mondo faticano ad entrare e, quando lo fanno, spesso commettono errori grossolani o si lasciano andare a lapidari ed inconcludenti giudizi. Un piccolo ma intenso film che regala emozioni profonde, si sforza di affrontare con finezza e intelligenza riflessioni tutt’altro che scontate (per esempio la dipendenza quasi malata e senza controllo dei ragazzi con i nuovi mezzi di comunicazione, ormai anche capaci di colmare vuoti e lacune di ogni tipo, fornendo risposte su qualsiasi argomento e fungendo quasi da surrogati educativi, le conseguenti difficoltà relazionali e di comunicazione), aiuta a capire meglio e da vicino, dall’interno e dal vivo, un’età che troppo spesso viene liquidata con sufficienza da genitori distratti e superficiali. Lodovichi gira con fluida abilità, nonostante la molteplicità di linguaggi usati, privilegia un attento e sfaccettato studio dei caratteri, senza rinunciare ad una meticolosa cura della messa in scena tanto nei colori e nelle ambientazioni quanto nelle musiche, si svicola con brillantezza dai facili cliché e dalle morbose pruderie che l’argomento potrebbe suscitare, trova un finale solo all’apparenza sospeso eppure bellissimo nella lucida consapevolezza e responsabilità raggiunta dai due protagonisti, non vuole dare soluzioni o risposte. Compie però il miracolo di aprirci gli occhi, con discrezione e freschezza, dopo tante visioni becere, mocciose e sconclusionate che avevano reso quasi non più raccontabile una certa realtà. In questo modo sa restituire voce, anima e soprattutto dignità ad una generazione che non è così rincretinita, apatica e volgare come troppo spesso si vuole o preferisce credere.
Voto: 7
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