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La foresta di ghiaccio

Regia di Claudio Noce vedi scheda film

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La recensione su La foresta di ghiaccio

di pazuzu
4 stelle

Nel gennaio del 1994, al confine tra Italia e Slovenia, un bambino tenta di fuggire da un gruppo di profughi alle prese con un leader violento. Vent'anni dopo, sotto un'incessante tormenta di neve, la centrale elettrica dello stesso paese di montagna resta spesso al buio per dei black out. Pietro (Domenico Diele), un operaio specializzato, viene mandato ad intervenire sul guasto, e si trova ad avere a che fare con una banda di cui Lorenzo (Adriano Giannini), che vorrebbe partire e andar via, è il cassiere, e il fratello Secondo (Emir Kusturica), lo sfuggente guardiano della diga, il capo. Intanto Lana (Ksenia Rappoport), una poliziotta sotto copertura arrivata lì dalla Slovenia spacciandosi per zoologa, indaga sulla morte di una ragazza libica il cui corpo è stato trovato nei paraggi, e cerca di capire cosa i due e gli altri operai nascondano.

Il problema de La Foresta di Ghiaccio, presentato in concorso al Festival di Roma nella sezione Cinema d'Oggi, è che per comprendere quale sia questo segreto bisogna far scorrere tutti i suoi 99 minuti senza che nel frattempo accada mai nient'altro. In un film che vorrebbe lasciar emergere le proprie sfumature noir, il regista Claudio Noce chiede agli interpreti uno sforzo di ambiguità, portando a confronto tra loro caratteri chiusi e schivi. Ma seppur sia chiaro l'intento di fare della suggestiva location un personaggio aggiunto (se non il protagonista assoluto), ad affossare l'intera operazione è proprio l'incapacità di dare a quelli in carne e ossa un minimo di profondità, una quadratura che li renda definiti: Pietro, Lana, Lorenzo e Secondo, viaggiano sballottati nella tempesta senza far mai un passo in nessuna direzione, ognuno concentrato sul proprio obiettivo ma senza mai aprirsi all'occhio di chi guarda, senza lasciar intendere realmente nulla di sé. In un'atmosfera da anestesia generale, il film di Noce caracolla quasi privo di una direzione per tutta la sua durata, e, tra abusi di camera a mano e ralenti buttati lì un po' a caso, si attacca ad una fotografia suggestiva finché si vuole ma terribilmente fine a sé stessa ed ignora totalmente il concetto di ritmo e quello di tensione, pretendendo di svelare a un certo punto il suo mistero (che poi troppo misterioso non è) ed aspettarsi che basti a giustificare tanto immobilismo: non basta, come non bastano, da sole, le buone prove degli attori, con Domenico Diele in testa. Quasi tutto visivamente bello, quindi, peccato che manchino la sostanza e il cuore.

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