Regia di Francesco Calabrese, Enrico Audenino vedi scheda film
È vero, esistono anche i “filmetti”. Quelle pellicole leggere, di ispirazione familiare, adolescenziale, televisiva, che non ci chiedono niente più che un po’ di benevola solidarietà, di semplice e magnanima volontà di stare al gioco. La (artisticamente) imponente figura di Remo Girone si trova a campeggiare su uno sfondo colorato di tinte agresti, marine, medioborghesi, infantili, come quelle che caratterizzano il paesaggio fatto di villette a schiera delle località balneari, dove il benessere si articola spesso nell’abbandono a strane fantasie di realizzazione personale, ossia alla versione casalinga delle utopie, alla forma moderna delle favole. Ci sono genitori che sognano la libertà dal dovere di badare alla prole, figli che vorrebbero essere adulti e invisibili, oppure eternamente fanciulli e famosi. E poi capita che arrivi anche un sedicente nonno, che è anziano e solo, ricoverato in una casa di riposo, mentre è convinto di poter dare ancora tanto al mondo, in termini di finzione, immaginazione, divertita superficialità. Andrea, che la madre ha mandato al campo estivo per potersi concedere una vacanza col suo nuovo compagno, è in preda alla più classica delle tempeste ormonali, mentre il piccolo Tommaso, il suo fratellastro, non riesce a smettere di pensare a Michael Jackson, che vorrebbe tanto fosse suo padre. La loro fuga – che si concretizza nella decisione di non partire e restare a casa per conto loro – è la premessa di una storia che si snoda con un discreto spirito umoristico, ma senza particolari guizzi di inventiva, tra accenti autoironici da commedia fantozziana e spunti filosofici da cinema on the road, in una sconclusionatezza che si fa teneramente accarezzare, eppure non soddisfa in pieno. Il giusto pizzico di follia manda in frantumi i più comuni cliché e, in parte, rivoluziona i ruoli – l’uomo maturo non è dispensatore di saggezza, l’amore non vince ma viene realisticamente ridimensionato – però, alla fine, ciò che rimane è la tiepida scia di una scorribanda senza capo né coda, durante la quale non accede nulla che meriti di essere ricordato, o magari che aiuti a capire perché, a quanto pare, il panorama nel frattempo è cambiato, il ragazzo è cresciuto e il vecchio ha ripreso a vivere. Quest’opera è un efficace esempio d come la scrittura possa essere scorrevole e ben cadenzata, risultando, a tratti, perfino incalzante, senza con ciò garantire, non si dice un approdo, ma nemmeno un percorso interessante e piacevole. Lungo la strada si costruisce bene o male un’attesa destinata a terminare in un tonfo ovattato, un ritorno indolore alla consueta, insipida normalità. Volendo eleggere a metafora interpretativa quello che, nel film, probabilmente è solo un insignificante dettaglio di contorno, il suo sviluppo si potrebbe descrivere così: il giro in skateboard ha conosciuto una spavalda salita ed una rapida discesa, forse si è concluso con una caduta, ma, a parte la figuraccia di rito, nessuno si è fatto male.
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