Regia di Ciro De Caro vedi scheda film
Valerio ha 30 anni e «sta co le pezz’ar culo». Vuole fare l’attore, ma è un palese incapace. Si arrangia con lavoretti come animatore di feste, mentre la fidanzata Serena si sbatte come un’assatanata per rimediare i soldi e pagare le bollette. Lei resta incinta, lui impazzisce e accetta un lavoro come corriere della droga (leggera) per conto dell’amico Scheggia (fin dal nome siamo dalle parti di Babi e Step). Tecnicamente, trattasi di un’opera mediocre sotto ogni punto di vista, con miriadi di tagli e taglietti di montaggio per sembrare al passo con i tempi, un uso improprio della camera mossa e giochi di messa a fuoco a tratti imbarazzanti. Ma non è certo questo il problema maggiore di Spaghetti Story. Il guaio è che lo sguardo sul mondo del lavoro e sull’Italia della crisi economica è vuoto e superficiale, affidato a continui discorsi di massima sul ruolo del maschio e sulla rinuncia ai sogni. Invece di approfondire i pochi personaggi a disposizione, il regista/sceneggiatore De Caro li taglia con l’accetta e getta nel calderone figure secondarie come vettori di ulteriori tematiche sociali. La baby prostituta cinese da salvare, lo spacciatore “Pechino” e la sorella caritatevole di Valerio non sono altro che dispersioni di energia, che fiaccano un film perso nell’inconcludenza del sottobosco romano di cui si nutre. Alla fine, l’unico modello positivo sembra essere il faccendiere Scheggia, che di lavoro spaccia droga coinvolgendo pure gli amici. Forse, ci vorrebbe un bel pellegrinaggio a «Meggiogore». Cinema, dove sei?
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