Regia di Carlo Alberto Pinelli vedi scheda film
Fine Ottocento, provincia di Cuneo: Cino, 10 anni circa, è il maschio primogenito di una famiglia contadina poverissima e, con altri coetanei, viene “dato in affitto” dai genitori a un alpeggio francese, dall’altra parte delle Alpi: lavorerà come pastore per tutta l’estate e tornerà con qualche moneta in più. Sulla strada e giunto a destinazione, il bimbo viene malmenato e sfruttato, finché riesce a fuggire; decide di tentare il percorso all’inverso, insieme all’amica Catlìn, che all’andata era stata abbandonata dalla comitiva e che lui inaspettatamente ritrova tra i boschi. Con andamento avventuroso e risvolti strappalacrime, la vicenda di (Polli)Cino pesca e mescola riferimenti distanti e qualche volta contrastanti: un po’ Dickens e un po’ libro Cuore, qualcosa del dolce Remy e di Heidi, un vago ricordo di Pinocchio e dei fratelli Grimm. E - l’intuizione più interessante - tanto folklore genuinamente piemontese, con la piccola Catlìn che teme le masche ma allo stesso tempo è (forse) una di loro, rievocando la caccia alle streghe che funestò la regione nel Cinquecento. Sostenuto dall’Unicef per «la delicatezza con cui affronta il tema del lavoro minorile», il film soffre tremendamente un’amatorialità di recitazione, regia e messa in scena, che per di più stride con lo splendore documentaristico con cui è fotografato il paesaggio naturale: a differenza del suo protagonista, La storia di Cino si blocca a metà strada.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta