Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
C’è chi ha contrapposto il qualunquismo di Comencini all’impegno di Cassola e chi s’è rammaricato che la materia del romanzo originario sia finita nelle mani di un regista “disimpegnato” come l’autore di “Pane, amore e… fantasia”. A me non sembra che le cose stiano così. In un impianto solidamente realista – la fa da padrone un paesaggio contadinesco, selvaggiamente postbellico e pre-pasoliniano, fotografato benissimo – la storia di formazione di Mara può essere vista come una metafora dell’Italia, o degli italiani, che maturano la convinzione di dover restare fedeli ad un ideale, nel caso specifico quello comunista, tralasciando il riformismo socialista e le sue seduzioni borghesi. O forse questo significato ce l’ho visto soltanto io. Ma mi pare un’interpretazione credibile, che deriva anche dall’osservazione attenta degli ambienti lavorativi cui si fa riferimento nel film, dal mondo contadino da cui proviene Mara, al lavoro “industriale” della stessa Mara e di Stefano “in città”. Gli ambienti aspri della Toscana collinare dei dintorni di Volterra fungono da protagonisti molto più che la Cardinale, peraltro alla prova come interprete migliore della sua carriera. Esistenziale più che resistenziale, anche se parla di partigiani. Voto: 7.
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