Regia di Emir Baigazin vedi scheda film
Quale armonia. Il mondo degli adolescenti è uno spaccato, in senso peggiorativo, di quello degli adulti. L’assenza di responsabilità che caratterizza quell’età - il momento della liberazione dai limiti fisici e morali dell’infanzia – scatena i conflitti più cinici ed esasperati. La primitiva competizione per il potere, la legge del più forte, il clima di terrore e la conseguente omertà sono gli aspetti più comuni ed inquietanti di fenomeni come il bullismo. Il film di Emir Baigazin ci trasporta in questa realtà di casa nostra, che qui vediamo proiettata sullo sfondo algido e desolato del Kazakhstan, in un villaggio a prevalenza musulmana, in cui l’impostazione dell’insegnamento scolastico risente ancora dell’influenza sovietica. La pratica del laicismo omologante di stampo staliniano non sembra però sufficiente a contrastare la ribellione dei ragazzi ai rigidi schemi disciplinari, che si manifesta sul doppio versante dell’alternativa organizzata (l’assoggettamento ai capibanda) e del rifugio nelle perversioni individuali (la crudeltà praticata in segreto come sfogo delle frustrazioni). Bolat e Aslan rappresentano gli estremi opposti del sadismo: quello pubblico, diretto contro il classico zimbello di turno, e quello privato, che sceglie le proprie vittime secondo precisi disegni mentali. Becero e chiassoso il primo, sofisticato ed occulto il secondo, come per rispecchiare i due volti – viscerale e cerebrale – della lotta per la sopravvivenza, della vendetta, della strategia di battaglia. Questa storia ne dipinge i tratti essenziali, senza sfumature psicologiche che non si traducano immediatamente in azioni, in sogni, in ossessioni rese visibili dalla voglia di tacitare i pensieri per passare subito ai fatti, alle iniziative che servono a definire il proprio posto nel mondo. Anche le materie insegnate in classe sono improntate alla concretezza, dalla fisica dell’energia (che si esprime sotto forma di denaro, di cibo, di movimento, di elettricità) alla biologia che si fa chiudere in un barattolo (le sostanze organiche disciolte nell’acqua, le lucertole tenute sotto vetro). La verità è prosa materialistica, e si estende dalle teorie di Darwin alle tentazioni consumistiche, mescolando le visioni infernali della selezione naturale e quelle paradisiache da parco dei divertimenti. L’integralismo religioso affiora, a tratti, come mostro dominatore, che forse protegge dal male, o forse, al contrario, è un ulteriore mortale nemico da sconfiggere. Non esistono mezze misure, in un ambiente rurale in cui la carne e il sangue sono i riferimenti principali di tutti i riti, quelli alimentari, fisiologici, sociali, anche giudiziari. Il sacrificio cruento è il passaggio necessario a realizzare tutti gli obiettivi: si macella la pecora per poterla mangiare, si picchia il compagno di scuola per costringerlo a pagare il pizzo, si torturano i sospetti per indurli a confessare. Intanto sembra che i pochi oggetti presenti sulla scena siano lì solo per essere branditi come armi: il righello, la matita, i libri, un cucchiaio. La guerra è totale, invade tutti gli spazi vuoti, si fa strada ad ogni costo anche nel deserto della povertà, dove la pistola si costruisce in casa con mezzi di fortuna, e, in mancanza d’altro, ci si accanisce per gioco contro gli scarafaggi. Uroki garmonii propone il teatro estremo delle piccole cose cattive, che più sono insignificanti e rozze, più riescono a fare male: l’ingegno si acuisce in maniera inusitata per provare a creare, anche in quel luogo dimenticato e marginale, la feroce grandezza delle battaglie epiche.
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