Regia di Don Chaffey vedi scheda film
Basato sul poema epico “Le Argonautiche” (la pubblicazione risale all’incirca al 250 A.C.) di Apollonio Rodio, “Jason and the Argonauts” ci racconta le valorose gesta di Giasone (Todd Armstrong) nel travagliato viaggio alla ricerca del vello d’oro, in grado di riportare pace e prosperità alla popolazione della Tessaglia, regione il cui trono venne usurpato dal perfido sovrano Pelia (Douglas Wilmer). Finanziato dalla Columbia con un budget ragguardevole (per il 1963) di un milione di dollari, il film del mestierante Don Chaffey pullulava di attori provenienti dalla terra d’Albione, tutti considerevoli: Gary Raymond nei panni di Acasto, Honor Blackman in quelli di Era, Nigel Green/Hercules e Niall MacGinnis nella parte di Zeus, mentre alla formosa statunitense Nancy Kovack fu affibbiata la maschera di Medea.
“Gli Argonauti” di Chaffey riesce nel cabalistico intento di dar omaggio alla mitologia greca senza scadere nel ridicolo, o limitarsi a elargire insipide bagarre eroistiche. Grazie ad una splendida fotografia in Eastman Color (il tecnico in questione era Wilkie Cooper) la rappresentazione brilla di tonalità sgargianti, dalla parvenza rutilante e dai cromatismi sontuosi. Ogni elemento evocativo è azzeccato, dalla mise impeccabile delle civiltà elleniche, alle incantevoli ambientazioni ataviche. “Jason and the Argonauts” è stato pure riconosciuto come uno dei lavori in stop-motion più raffinati e attraenti nel mondo del cinema, e questa qualità si può percepire dopo i primi venti minuti di visione. Il fiore all’occhiello dell’impresa sono le battaglie: il taglio viene ponderato alla perfezione, la mdp garantisce sempre il panorama ideale, e il ritmo non si affloscia nemmeno per un nanosecondo. Oltre agli ormai leggendari scontri all’arma bianca con l'imponente Talo, le inquietanti arpie (particolare la ripresa di questo pezzo, ammantata da filtri foschi e virulenti che ne risaltano l’accigliata atmosfera) e la tremenda Idra (creatura a più teste dalle sembianze di un serpente gigante), parecchio galvanizzante si mostra il combattimento con gli scheletri guerrieri; un vero bijoux di inventiva coreografica, una messa in scena compitata da un montaggio dalla cadenza sostenuta ed elettrizzante. Si intuisce facilmente che l'ensemble delle traversie è quindi un’avventura travolgente: gagliarda nelle ribaltine action e poliedrica nelle performance recitative. L’ingegno dei guizzi artistici di Ray Harryhausen perviene a non sottrarre il divertimento allo spettatore, rimorchiandolo nell’avvincente illustrazione fantasy. Insomma, un sollazzo per gli estimatori dei classici sulle blasonate arcadie millenarie, un buon intrattenimento per gli altri. I protagonisti non si sbilanciano verso il patetismo, e il romanticismo potenzialmente stucchevole è stato attentamente stroncato nei frammenti conclusivi, non rovinando un plot meticolosamente sviluppato mantenendo un equilibrio esemplare nella divisione dei registri. Lodevoli anche le magnifiche musiche del grande Bernard Herrmann; gli arrangiamenti orchestrali lambiscono superbamente i segmenti della vicenda, rendendo l'epopea di Giasone un’esperienza memorabile per gli occhi e le orecchie.
“Jason and the Argonauts” magari non sarà un capolavoro: le soluzioni narrative sono spesso veloci e semplicistiche, e la natura blockbusteriana lo costringe a riassumere in modo evidente alcuni elegiaci risvolti. A tanti anni di distanza, però, l’aura di cult che l’avvolge non si è assolutamente dissipata, né probabilmente si affievolirà in futuro.
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